Sempre più spesso vengono proposti sul web o sulle riviste corsi di corsi di formazione che partono con moduli formativi, basati sul tradizionale corso in aula, su dispense cartacee o anche su una struttura e-learning, sotto forma di video registrati, e che assicurano la rispondenza a quanto previsto dal D.M. 140, pubblicato dal ministero della Giustizia lo scorso ottobre, che, appunto, ha imposto l'obbligo di aggiornamento a tutti gli amministratori di condominio per un totale di 15 ore annue con esame finale.
Al superamento dell'esame l’amministratore riceverà la Certificazione che attesta l'aggiornamento effettuato a norma del D.M. 140 ed il possesso di questo attestato è da considerarsi fondamentale per lo svolgimento della professione di amministratore di condominio., infatti in occasione del rinnovo o della prima nomina l'assemblea potrà chiedere, proprio sulla base del D.M. 140, di controllare i titoli formativi conseguiti dall'amministratore non limitandosi semplicemente a verificare l'effettiva frequentazione del corso di base ma anche, e soprattutto, di quello di aggiornamento.
Facile intuire come nel medio periodo chi non sarà in grado di dimostrare la propria formazione ed il proprio aggiornamento sarà destinato ad essere escluso dal mercato.
Insomma, niente aggiornamento, niente lavoro e fino a qui niente di male, anzi, ma quello che preoccupa di più è l'offerta su Internet, anche da parte di associazioni del settore, dove si trovano anche corsi su temi superati che vengono spacciati per nuovi o, peggio, che forniscono attestati senza che vi sia un'effettiva verifica finale; infatti la domanda che ci si pone da più parti è proprio la seguente: ma chi controlla il contenuto e la serietà dei corsi? Chi verifica che gli esami finali vengano svolti correttamente? Il Ministero su questo aspetto tace e non pare abbia intenzione, al momento, di uscire dal proprio silenzio pertanto sorge spontaneo invocare maggiore chiarezza da parte del ministero della Giustizia perché se è pur vero che oggi i condòmini sono molto più consapevoli di un tempo e fanno domande informandosi su molti aspetti, è altrettanto vero che non può bastare la loro vigilanza ed ecco pertanto che sarebbe opportuna una maggiore attenzione da parte del Ministero della Giustizia.
La Corte di Cassazione con questa sentenza chiarisce come aprire un’attività di bed & breakfast all’interno di un condominio non comporti una variazione della destinazione d'uso e che non occorre l’approvazione da parte dell'assemblea dato che non si tratta di un'attività che può arrecare pregiudizio agli altri condomini.
Via libera, quindi, per un fenomeno in costante crescita, infatti per la Corte di Cassazione l’attività di Bed & Breakfast e di affittacamere non comportano un utilizzo diverso degli immobili rispetto a quelle che sono le civili abitazioni e non determinano danni per gli altri condomini.
Nel caso preso in esame un condominio aveva in giudizio i proprietari di alcuni appartamenti per aver esercitato attività d Bed & Breakfast in violazione di una specifica disposizione del regolamento di condominio in base alla quale sarebbe stato vietato destinare appartamenti ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato.
In primo grado il tribunale aveva bloccato le attività, ma la sentenza è stata poi ribaltata in corte d'appello con una decisione confermata poi dalla suprema corte di Cassazione; i giudici di merito avevano anche evidenziato, correttamente, come la destinazione a civile abitazione fosse proprio un presupposto per potervi svolgere un'attività come quella contestata.
Nella sentenza la Suprema Corte afferma come sia vero che è facoltà dei regolamenti condominiali prevedere limitazioni alle destinazioni d'uso degli appartamenti; ma che tali limitazioni devono essere chiaramente espresse non potendosi desumere in via interpretativa alcuna limitazione aggiuntiva.
In arrivo un emendamento, peraltro ancora soggetto al giudizio dell’Unione Europea, che potrebbe fornire un notevole impulso per il settore delle costruzioni e del mercato immobiliare; infatti gli interventi di ristrutturazione potrebbero godere di un’aliquota IVA agevolata al 4% dal 10% attuale
L'emendamento della Commissione Ambiente prevede infatti che coloro che usufruiscono delle detrazioni del 50% per le ristrutturazioni e del 65% per la riqualificazione energetica degli edifici, paghino l’IVA al 4% .
Sembrerebbe peraltro che il testo dell’emendamento vada ad escludere gli interventi di manutenzione straordinaria e di risanamento e restauro conservativo includendo soltanto gli interventi d ristrutturazione, esclusi anche gli altri interventi minori che attualmente godono della detrazione del 50% quali ad esempio i lavori per il contenimento dell’inquinamento acustico, le misure antisismiche e le misure contro gli infortuni domestici.
Per quanto riguarda invece la riqualificazione energetica la riduzione IVA riguarderà tutti i lavori che attualmente godono dell’agevolazione relativa all’ecobonus del 65% quali il solare termico, gli infissi, i cappotti, le coperture ed i pavimenti, le caldaie a condensazione, le pompe di calore ad alta efficienza, gli impianti geotermici, gli scaldacqua a pompa di calore, i lavori sulle parti condominiali e la riqualificazione energetica generale dell'edificio.
Farebbe da contraltare a questo emendamento l’aumento dal 4% al 10% dell’aliquota IVA relativa alle nuove costruzioni vendute direttamente dalle imprese.
Attualmente è bene ricordare come siano soggette all’aliquota IVA del 4% la costruzione e l’acquisto della prima casa da un’impresa entro 5 anni dall’ultimazione e l’acquisto di beni finiti per la costruzione di abitazioni, uffici e negozi.
L’emendamento proposto dalla Commissione Ambiente rischia però la bocciatura da parte della Commissione Bilancio che sta formulando il suo parere in merito al testo presentato e dubbiosi sembrano essere anche i tecnici del Servizio Studi della Camera in merito alla possibile mancanza della prevista compensatività degli effetti finanziari.
Resta infine da vedere come si esprimerebbe in merito Bruxelles dato che l’aliquota del 4% è un’aliquota ultraridotta adottata con una specifica deroga al momento della emanazione della prima direttiva IVA in relazione ad una ben definita tabella di beni e di servizi risultando pertanto non modificabile.
Legge di stabilità: il Governo ha deciso di confermare almeno
per un altro anno le aliquote potenziate al 65% e al 50%
E' confermato: con la Legge di stabilità 2015 approvata ieri dal Consiglio dei Ministri, vengono
prorogate di un altro anno, e dunque fino al 31 dicembre del 2015, sia l'ecobonus al 65% che la
detrazione fiscale al 50% per le ristrutturazioni in casa.
Attualmente la normativa prevedeva che l'aliquota incentivante del 65% andasse in scadenza al 31 dicembre 2014 per interventi sulle singole unità immobiliari e al 30 giugno 2015 per interventi su parti comuni degli edifici condominiali.
Senza la proroga intervenuta nel 2015 l'ecobonus sarebbe sceso al 50% e poi al 36% nel 2016.
Dunque, sono state accolte le richieste arrivate negli ultimi mesi dagli operatori del settore, che in più occasioni hanno chiesto di mantenere anche nel 2015 le attuali aliquote per dare continuità ad un'agevolazione che ha dato buoni risultati, in termini di investimenti, risparmio energetico ed occupazione.
Infatti, i più recenti dati dell'Enea hanno dimostrato che le pratiche inviate nel 2013 per usufruire delle detrazioni fiscali del 65% per la riqualificazione energetica degli edifici sono state più di 355.000, con un aumento di circa il 35% rispetto al 2012.
lo introduce il decreto legge nr. 102 del 31-08-2013, nell’ambito delle misure di sostegno all’accesso all’abitazione ed al settore immobiliare all’articolo 6 comma 5.
Morosi incolpevoli sono quei soggetti che non sono in grado di fare fronte al pagamento dei canoni di locazione per causa di forza maggiore e lo scopo del decreto è quello di offrire un sollievo concreto ad alcune categorie sociali che non sono più in grado di assicurare un tetto alla propria famiglia.
Per morosità incolpevole si intende “la situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare”.
All’articolo 2 comma 2 del decreto vengono fissate le specifiche cause di morosità incolpevole che vengono individuate come segue:
perdita del lavoro per licenziamento;
accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell’orario di lavoro;
cassa integrazione ordinaria e straordinaria che limiti notevolmente la capacità reddituale;
mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici;
cessazione di attività di libero professionista o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente;
malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la riduzione del reddito complessivo del medesimo o la necessità dell’impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali.
La presenza di una di queste circostanze consentirà di richiedere l’intervento dello Stato all’inquilino in seria difficoltà e che non riesce a pagare il canone di locazione dell’appartamento.
E’ stato costituito un fondo pari a 20 milioni di Euro per l’anno 2014 ed a 20 milioni di Euro per l’anno 2015 che saranno destinati a quei comuni ad alta tensione abitativa che abbiano avviato bandi o altre procedure amministrative per l’erogazione di contributi a favore di inquilini morosi incolpevoli ed il tetto massimo relativo all’entità del contributo erogabile è stato fissato in Euro 8.000,00.
Le risorse assegnate al Fondo vengono ripartite tra le Regioni e le Provincie di Trento e di Bolzano tramite l’assegnazione prioritaria a quelle Regioni che abbiano emanato norme per la riduzione del disagio abitativo, attraverso percorsi di accompagnamento sociale dei soggetti sottoposti a sfratto.
I comuni dovranno verificare che il richiedente, o un componente del nucleo familiare non siano titolari di un diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione nella provincia di residenza di altro immobile fruibile e adeguato alle esigenze del proprio nucleo familiare ed il titolo preferenziale per la concessione del contributo sarà la presenza, all’interno del nucleo familiare, di anziani o portatori di handicap o minori, o persone a carico dei servizi sociali.
Spesso accade che i condomini, quando l’amministratore sollecita loro il pagamento delle spese condominiali, adducano come scusa le più svariate contestazioni tra cui molto gettonate risultano essere quelle relative al mancato o al non corretto utilizzo di un servizio comune oppure al mancato risarcimento di danni a loro causati da una parte comune cercando in questo modo di condizionare il pagamento di quanto dovuto al condominio all’effettuazione di determinate opere oppure che propongano di utilizzare a compensazione il credito derivante a loro dire dal risarcimento dei danni subiti.
Naturalmente questo genere di comportamento è del tutto illegittimo in quanto il codice civile stabilisce chiaramente all’articolo 1123 l’obbligo per ogni condomino di partecipare pro quota alle spese di conservazione e di godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi e per le innovazioni che sono state deliberate.; questo obbligo viene ritenuto dalla giurisprudenza un’obbligazione propter rem, cioè un obbligo collegato alla proprietà della cosa.
Il condomino non può quindi eccepire nessun genere di compensazione a fronte della richiesta di pagamento pervenutagli dall’amministratore ancor meno in caso di decreto ingiuntivo.
Il legislatore ha voluto infatti garantire il principio della certezza della gestione condominiale per evitare ogni genere di contestazione, infatti la delibera dell’assemblea, se regolarmente presa, costituisce titolo di credito del condominio e prova l’esistenza di tale credito non solo legittimando la concessione del decreto ingiuntivo, ma determinando anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio di opposizione che quest’ultimo eventualmente abbia a proporre contro tale decreto; giudizio di opposizione il cui ambito è ristretto alla mera verifica dell’esistenza e dell’efficacia della delibera assembleare di approvazione della spesa e del relativo riparto (Cassazione. 15/2/11 n. 3704, Cassazione. 2387/2003, Cassazione 7261/2002). E’ stato infatti affermato in modo chiari che “Il giudizio di opposizione da parte del condomino ingiunto potrà riguardare unicamente la sussistenza del debito, e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione” (Cassazione. Civile 8/8/2000).
In pratica il condomino opponente in questo giudizio dovrà provare di avere provveduto, per esempio, al pagamento ma certo non potrà rivendicare un risarcimento danni estraneo al giudizio o porre in compensazione debiti pacifici e non contestati con eventuali crediti non dimostrati e tanto meno esigibili.
In conclusione è bene sottolineare come il pagamento delle spese condominiali e la richiesta al condominio del risarcimento dei danni subiti sono due cose che devono restare ben distinte seguendo ognuna la propria strada, quindi il condomino dovrà provvedere al versamento puntuale delle proprie rate condominiali, fatto salvo poi il diritto ad agire contro il condominio per il risarcimento di eventuali danni che ritiene di avere subito.
L’Agenzia delle Entrate ha specificato che tutti i contribuenti, eventualmente anche titolari di redditi di impresa, che possiedono l’immobile in cui viene effettuato un intervento tra quelli previsti dal Decreto Legislativo del Presidente della Repubblica numero 115 del 30 maggio 2008, e successive modificazioni e proroghe, possono usufruire della detrazione fiscale del 50/65%, prevista per le ristrutturazioni edili e per l’efficientamento energetico di abitazioni, uffici e aziende.
Il D.P.R. 115/2008, emesso in attuazione della direttiva comunitaria numero 32/2006, articolo 2, si riferisce agli interventi volti ad aumentare l’efficienza energetica degli edifici ed alla riduzione del fabbisogno di energia elettrica previsti nei settori del riscaldamento, del raffreddamento, della ventilazione e della illuminazione.
Rientra pienamente tra gli interventi volti al risparmio energetico l’applicazione delle luci a led in sostituzione dell’illuminazione tradizionale, ovvero delle lampade ad incandescenza o a fluorescenza.
Ovviamente il risparmio energetico conseguito va monitorato prima e dopo l’intervento stesso, mediante apposita relazione asseverata di professionisti certificati che va inoltrata all’ENEA.
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