La legge nr. 220/2012 nota come “riforma del condominio” ha disposto, all’articolo 1138 del codice civile, che “le norme del regolamento di condominio non possono vietare di possedere o detenere animali domestici” stabilendo che l’animale domestico è parte integrante della famiglia. Questo in quanto ormai oltre il 50% delle famiglie italiane che possiede un animale in casa.
Con la riforma del condominio, pertanto, non è più possibile approvare in sede di assemblea un regolamento di condomino, o una modifica a quello esistente, che vieti di possedere un animale domestico, così come divieti per animali domestici di usare ambienti comuni tipo ascensori o scale in quanto può essere annullato con ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla delibera presentando una semplice lettera in carta libera con la spiegazione dei fatti, così come è possibile fare ricorso al Giudice di Pace nel caso di rumori molesti, scarsa igiene o danni chiaramente causati dall’animale domestico al condominio. Qualsiasi disturbo viene denunciato è comunque soggetto a verifica da parte di personale apposito competente.
Il legislatore ha previsto, sotto la spinta di associazioni ed enti privati e pubblici, specifiche normative dirette a tutelare gli animali e disciplinarne il rapporto di convivenza con l’uomo anche, e soprattutto, in condominio. Nello specifico la legge nr 281 del 14 agosto 1991 " Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo" ha, per la prima volta, identificato legislativamente le cosiddette colonie feline. Successivamente è intervenuta la legge regionale del Lazio, la nr.34 del 21 ottobre 1997 che all'articolo 11 comma 3 stabilisce: "le associazioni di volontariato animalista e per la protezione degli animali possono, in accordo con le aziende USL competenti, avere in gestione le colonie dei felini che vivono in stato di libertà, curandone la salute e le condizioni di sopravvivenza".
La legge 281/91 definisce colonia felina un “gruppo più o meno numeroso di gatti che vivono in un determinato e circoscritto territorio”, ed è bene precisare che anche solo due gatti vengono a rientrare in detta definizione. Inoltre detta legge considera i gatti randagi come esseri viventi titolari di diritti quali la "vita" e la "cura"; diritti che, ovviamente, incontrano il limite della salute pubblica. la Legge 281/91 sancisce la territorialità delle colonie feline quale caratteristica etologica del gatto, riconoscendo loro la necessità di avere un riferimento territoriale;
Il legislatore ha ritenuto che i gatti, animali sociali che si muovono liberamente su un determinato territorio radunandosi in "colonie feline", pur vivendo in libertà, sono stanziali e frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato, creandosi così un loro " habitat" ovvero quel territorio o porzione di esso, pubblico privato, urbano e non, edificato e non, nel quale vivono stabilmente; nessuna norma di legge, né statale né regionale, proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat cioè nei luoghi pubblici e privati in cui trovano rifugio.
L'art. 2 comma 9 della L. n. 281/ 1991, prevede che i gatti in libertà possono essere soppressi soltanto "se gravemente malati o incurabili".
Il legislatore pertanto con queste disposizioni ha voluto riconoscere, regolamentare e tutelare tutti quei comportamenti umani posti in essere in qualsiasi luogo pubblico o privato nei confronti di animali randagi.
Vi sono poi delle leggi provinciali, come la nr.34/1997 della Regione Lazio, che riconoscono al gatto il diritto al territorio formulando un espresso divieto di spostamento dei soggetti dal loro habitat, intendendo per habitat il luogo dove i gatti trovano abitualmente rifugio, cibo e protezione, identificando con questo termine aree sia pubbliche che private.
E’ quindi da considerare assolutamente legittima la permanenza dei gatti nelle aree condominiali, siano esse cortili, garage o giardini, aree ospedaliere, alla stregua della presenza degli uccelli sugli alberi; d'altro canto, al fine di escludere ogni sorta di disturbo per i condomini, la legge prevede che il loro numero sia tenuto sotto controllo attraverso la sterilizzazione e che gli animali siano nutriti nel rispetto dell'igiene dei luoghi.
Se invece i gatti dovessero costituire fonte di danno per i beni comuni o dei singoli, l'assemblea può legittimamente deliberare una serie di provvedimenti, i cosiddetti offendicula, come la disposizione di una rete metallica a patto che sia circoscritta alla zona condominiale in cui si affollano i felini e, pertanto, trattarsi di un intervento proporzionato ex art. 52 del codice penale al pericolo che la presenza dei felini può recare in condominio.
Una sentenza della Cassazione penale del 2006, la nr. 34095 stabilisce peraltro che la delibera assembleare di allontanamento, nel caso in cui la colonia felina dovesse costituire una fonte di danno per i beni comuni o dei singoli condomini, è legittima qualora i mezzi di allontanamento siano rispettosi del sentimento di amore per la natura e degli animali.
Nel caso, infine, che la richiesta di allontanamento della colonia felina venisse motivata da ragioni di sicurezza della salute pubblica, la delibera dell’assemblea risulterebbe legittima ai sensi della Legge 281/1991 articolo 2 comma 9, previo accertamento da parte dei medici del servizio veterinario delle U.S.L. circa l’incompatibilità della permanenza dei gatti nell'area condominiale con le esigenze di salute umana e dell'igiene pubblica.
Tornando al nostro gatto in condominio?
Premesso che valgono sempre le regole dettate dal buon senso, ecco di seguito alcune regole che il proprietario di un gatto è tenuto comunque ad osservare, tenendo bene a mente che, in caso di violazione delle stesse, potrebbe incorrere in sanzioni di natura civile, per violazione del divieto di immissioni o di natura penale per maltrattamento:
- Qualora il gatto abbia un carattere aggressivo il proprietario deve evitarne la fuga custodendolo in casa per evitare che possa venire a contatto con altri condomini.
- È obbligatorio che il gatto abbia sempre la possibilità di accesso all’appartamento, quindi che non venga confinato su balconi, terrazzi o in spazi angusti come gabbie o trasportini in quanto si configura il reato di omessa custodia ex articolo 672 del Codice penale.