È legittima l'installazione di un ascensore esterno a servizio e a spese di un solo condomino, senza la preventiva autorizzazione dea parte dell'assemblea anche se l'opera non è prevista nel progetto originario dell'edificio, questo è quanto hanno affermato i giudici di Cassazione, con sentenza nr. 10852 del 16 maggio 2014, bocciando il ricorso di una donna contro la decisione della Corte d'Appello che riconosceva la legittimità dell'innovazione realizzata da parte di un altro condomino, proprietario di un appartamento nello stesso edificio.
Contrariamente a quanto sosteneva la ricorrente, che chiedeva l'eliminazione delle opere illegittimamente realizzate oltre al risarcimento dei danni, il giudice di merito riteneva che l'installazione dell'ascensore esterno, a servizio esclusivo di un'unità immobiliare, costituisse un’innovazione eseguita legittimamente a spese del proprietario, e come tale non richiedente l'autorizzazione del condominio ex artt. 1120, 1121 c.c., non pregiudicante la stabilità o il decoro architettonico dell'edificio. Né poteva assumere rilievo, secondo la Corte, il mutamento di destinazione delle unità immobiliari dei convenuti, consentito dal regolamento di condominio, o ritenersi sussistenti immissioni illegittime, dovendo, altresì, considerarsi applicabile nella specie, l'art. 3 della Legge. nr. 13/1989, prevedente deroga "alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati".
Richiamando la giurisprudenza in materia (cfr. Cassazione. n. 14096/2012), la Cassazione rilevava che: "in tema di condominio l'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell'art. 3, comma secondo, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale".
Per cui, ritenendo corretta la valutazione della Corte territoriale, la Suprema Corte. rigettava il ricorso.