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I nodi, in genere, vengono al pettine di fronte al primo guasto serio dell'impianto. Quando un ascensore non funziona o si blocca, i condomini si trovano per la prima volta a fare i conti con i termini del contratto di manutenzione. Un documento fondamentale per l'edificio, che però (come a volte si scopre) è stato sottoscritto senza la dovuta attenzione. E contiene una serie di condizioni sfavorevoli e onerose. Meglio dunque prevenire l'insorgenza di brutte sorprese, cautelandosi con contratti trasparenti, che non contengano clausole vessatorie, tra l'altro recentemente messe in luce dall'Antitrust.
Data una determinata marca e tipologia di impianto, occorre scegliere chi si incaricherà negli anni di effettuare la manutenzione e i controlli di sicurezza. È in questo momento che occorre prestare la massima attenzione a ciò che si pattuisce. Tenendo conto che se cambiare fornitore è in teoria sempre possibile, nella pratica difficilmente avviene. Sia perché, come spiegano le associazioni dei proprietari, a partire dalla Confappi di Milano, «recedere anticipatamente, anche in caso di motivate inadempienze, non è un percorso semplice e richiede un'azione giudiziaria spesso annosa». Sia perché, per ciascuna marca d'impianto, è limitato il numero d'imprese disponibili, su un territorio, a fornire l'assistenza necessaria e garantire la disponibilità dei pezzi di ricambio.
A mettere all'erta i proprietari di casa sono, per prime, le aziende che lavorano nel settore. «Già da tempo – spiega infatti Luca Incoronato, presidente Anacam, l'Associazione nazionale imprese di costruzione e manutenzione ascensori – comunichiamo ai nostri soci quali sono le clausole da evitare. Il nostro consiglio è seguire modelli preconfezionati, come quello recentemente diffuso da Unioncamere e stilato dalla Camera di commercio di Roma. Se ci si attiene a quei contenuti, sarà difficile incorrere in inconvenienti e contestazioni».
A dare man forte ai consumatori, è comunque intervenuta l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Che, nell'ambito delle competenze acquisite in materia di clausole vessatorie (articolo 37-bis, Codice del consumo), ha analizzato i contratti di manutenzione più diffusi e ha individuato e messo al bando una serie di condizioni considerate illegittime. «Il risultato – spiega Tiziana Sorriento, vicepresidente nazionale Codacons – è che oggi è possibile per un condominio, con un iter tutto sommato semplice, invocare e pretendere la nullità di condizioni che rientrino fra quelle messe in luce dalla stessa Agcm».
Ma quali sono le clausole vessatorie più diffuse e "pericolose"? Fra i principali punti a cui prestare la massima attenzione c'è, innanzitutto, la questione dei tempi. Sono impugnabili infatti i contratti che prevedono termini troppo lunghi per il recesso anticipato. «In passato – spiega Incoronato – la comunicazione di interruzione del servizio era prevista con 180 giorni d'anticipo rispetto alla scadenza naturale dell'accordo. Dopo l'intervento dell'antitrust, il lasso di tempo si è notevolmente ridotto ed è di 45-30 giorni per i contratti annuali e di 60 giorni per i contratti pluriennali».
Considerati i notevoli adempimenti e i controlli prescritti per legge (si veda l'articolo in pagina), in genere l'accordo che si stipula con la ditta specializzata è pluriennale. Considerate soprattutto le mutevoli condizioni di mercato, anche se la durata è libera e pattuita tra le parti, è comunque buona norma non superare la durata di tre anni. Facendo anche attenzione a evitare la previsione di "rinnovo automatico".
Un'altra condizione che l'Antitrust ha dichiarato "fuori legge" riguarda la penale eccessiva richiesta al condominio che decide di recedere anticipatamente il contratto di manutenzione. Nei vecchi accordi sovente si prevedeva il pagamento di tutti i canoni residui, fino alla scadenza del contratto. Tuttavia, molti giudici si sono pronunciati sulla materia e, anche se non è mai stato fissato un importo congruo universale, la consuetudine è far pagare il 40-50% di quanto inizialmente pattuito.
C'è poi la questione degli aumenti "in corso d'opera": è in genere prevista, come è normale nei contratti di durata, anche una clausola di revisione del prezzo, per adeguare il canone all'andamento delle retribuzioni, dei beni e dei servizi connessi con la prestazione della manutenzione. «Ma eventuali inadempimenti dell'impresa o incrementi esagerati del canone pattuito sono due possibili ragioni per interrompere o ridiscutere il contratto – afferma Sorriento -. È anche utile ricordare che per i contratti di manutenzione pluriennali serve sempre la delibera dell'assemblea di condominio. Se la decisione è stata presa esclusivamente dall'amministratore, il contratto potrà essere oggetto di revisione». Attenzione anche a chi propone ribassi dei prezzi di installazione dell'ascensore in cambio di contratti più "vincolanti" in tempi e modalità per la futura manutenzione.
Sono infine illegittime – come stabilito dal garante – anche le clausole che escludono o limitano i risarcimenti in caso di sinistri causati dal malfunzionamento dell'ascensore o dal ritardo nella consegna dei prodotti e nel loro montaggio o che riducono da due a un solo anno la garanzia legale di conformità.
L'installazione del condizionatore in condominio è una annosa questione che non sempre trova univoca soluzione da parte dei giudici e che vavalutata di volta in volta in ragione del diverso impatto visivo che il manufatto può avere sull'aspetto architettonico dell'edificio e decisa anche secondo le regole del buon senso.
È certo però che il condòmino, prima di posizionare il proprio condizionatore all'esterno, deve darne notizia all'amministratore affinché relazioni l'assemblea, che può richiederne la rimozione: è questa la regola dettata dal nuovo articolo 1122 del Codice civile, introdotto con la riforma del condominio.
Entro questi limiti può dunque ritenersi legittima l'installazione da parte del singolo condomino di un impianto di condizionamento sulla facciata dello stabile condominiale. Deve trattarsi però di un manufatto di piccole dimensioni che non vada a stravolgere l'armonia della facciata stessa e che magari si inserisca in essa, per colore e posizione, quasi a scomparire. I limiti sono invece superati se il condizionatore assume dimensioni spropositate rispetto alla normale accettabilità (e l'ipotesi non è purtroppo rara) perché in questo caso viene a modificarsi la destinazione tipica del bene comune. Il ragionamento resta invariato anche nel caso in cui l'impianto venga posizionato sulla facciata interna dell'edificio.
L'offesa al decoro architettonico va comunque riguardata in sé, senza riferimento a edifici contigui o, ancor meno, ad alterazioni in questi già esistenti È da escludersi anche che persone estranee al condominio possano lamentarsi per un condizionatore mal posizionato dal condomino dell'edificio magari antistante al proprio: la tutela pubblica non concorre con quella privata. Ma in presenza di un condizionatore rumoroso oppure che produca eccessive esalazioni la tutela spetta a tutti gli interessati e non solo al condòmino vicino di casa. Per la valutazione del disturbo resta caposaldo invalicabile il limite della tollerabilità del rumore o delle esalazioni.
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