La legge n. 220/2012 di c.d. “riforma del condominio” afferma, all’art. 63, comma II, delle disposizioni di attuazione al codice civile, che: “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini….”. Sennza entrare troppo in sottigliezze giuridiche è evidente che con questa norma il legislatore ha introdotto un principio che, di fatto, accoglie – temperandolo - il criterio della parziarietà delle obbligazioni condominiali già affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Come è noto la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 8 aprile 2008, n. 9114 aveva provocato numerose problematiche applicative sulla scorta delle quali sono scaturite molteplici posizioni dottrinarie alcune decisamente ostili altre decisamente favorevoli ai contenuti della suddetta pronuncia. Secondo il principio della parziarietà parte della dottrina riteneva che il conto corrente non potesse essere “aggredito” in quanto sullo stesso “transitano” le quote, e solo quelle, dei condomini solventi determinandosi così un contrasto con il principio enucleato nella sentenza.
La soluzione adottata dalla legge di riforma, con l’introduzione della “preventiva escussione” sembra, in pratica, lasciare inalterata la situazione. Una possibile soluzione potrebbe essere trovata interpretando il citato secondo comma dell’art 63 disp. att. c.c.. La disposizione, infatti, sembrerebbe consentire al creditore di agire dapprima nei confronti del condominio e, successivamente, dei condomini morosi e dei solventi. Si tratta di una soluzione adottata in alcune sentenze di merito che hanno motivato la decisione facendo leva sullla qualificazione del condominio come centro autonomo d’imputazione di distinte posizioni giuridiche. Sulla questione, come era prevedibile, i giuristi si stanno ancora confrontando perché la norma, ovviamente, potrebbe essere letta anche in modo opposto e cioè che il creditore non possa pignorare il conto corrente condominiale se non dopo aver escusso i condomini morosi in ragione della insussistenza della autonomia patrimoniale del condominio.
Va infine rilevato che la norma, peraltro, non specifica se il creditore debba dimostrare di avere solo tentato di escutere il condomino moroso per poter agire nei confronti del condominio o se debba invece dimostrare di aver escusso, pro quota, il patrimonio del condomino moroso ipotesi, quest’ultima, che allontana sempre di più la possibilità per i terzi creditori di ottenere un rapido recupero del credito.
Ogni condomino, come noto, ha il dovere di corrispondere le spese relative alla gestione ed alla conservazione delle cose comuni e, quindi, ha l'obbligo di pagare le spese condominiali alle scadenze pattuite, senza che sia necessario l’invio di particolari avvisi o promemoria da parte dell’amministratore.
La Suprema Corte di Cassazione, così come del resto la dottrina, ha avuto modo di chiarire come questo genere di obbligazioni “sussiste ogni qual volta ad un diritto reale, esclusivo o frazionario, si accompagna una obbligazione, la cui origine si riconduce alla titolarità del diritto sul bene: contestuale titolarità in capo allo stesso soggetto del diritto e dell'obbligo”.
Nel caso del condominio la misura dell'obbligo contributivo è determinata in base ai valori millesimali dell'unità immobiliare utilizzati per ripartire le spese approvate nelle rendicontazioni di spesa preventive e consuntive.
L'amministratore, da parte sua, ha il preciso obbligo di riscuotere i contributi, eventualmente anche tramite azione giudiziaria, come previsto dall’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile.
E' prassi, ma non obbligo, che l’amministratore prima di passare la pratica al legale proceda all’invio di uno o più solleciti scritti sollecitando direttamente il condomino moroso e questo sollecito è da considerarsi come un'attività extra rispetto a quella ordinaria che dovrebbe limitarsi al massimo a ricordare le scadenze., pertanto il sollecito di pagamento deve essere inteso come una comunicazione personale inviata dall’amministratore al condomino ed il cui costo viene a ricadere, inevitabilmente, sullo stesso.
E’ utile evidenziare come il sollecito inviato da parte dell'amministratore abbia lo stesso ed identico valore legale della lettera di messa in mora inviata dall'avvocato.
Generalmente l’amministratore nella propria offerta presentata all’atto della propria nomina indica chiaramente che le spese relative ai solleciti di pagamento ed alla eventuale predisposizione della documentazione necessaria per la presentazione del decreto ingiuntivo da parte di un legale verrà addebitata a carico del condomino moroso, risolvendosi pertanto a monte la questione se tali spese debbano essere a carico del condomino o dell’intero condominio; nel caso in cui dovesse invece mancare questo passaggio, salvo diversa indicazione prevista nel regolamento di condominio, la spesa per il sollecito dovrà essere ripartita tra tutti i condomini ai sensi dell'articolo 1123 del codice civile come spesa necessaria per la gestione delle parti comuni.
Appare pertanto ben evidente l’importanza di presentare da parte dell’amministratore, e da parte dei condomini, di valutare ed accettare all’atto della nomina dello stesso offerte complete che indichino singolarmente le eventuali voci di spesa.
È legittima l'installazione di un ascensore esterno a servizio e a spese di un solo condomino, senza la preventiva autorizzazione dea parte dell'assemblea anche se l'opera non è prevista nel progetto originario dell'edificio, questo è quanto hanno affermato i giudici di Cassazione, con sentenza nr. 10852 del 16 maggio 2014, bocciando il ricorso di una donna contro la decisione della Corte d'Appello che riconosceva la legittimità dell'innovazione realizzata da parte di un altro condomino, proprietario di un appartamento nello stesso edificio.
Contrariamente a quanto sosteneva la ricorrente, che chiedeva l'eliminazione delle opere illegittimamente realizzate oltre al risarcimento dei danni, il giudice di merito riteneva che l'installazione dell'ascensore esterno, a servizio esclusivo di un'unità immobiliare, costituisse un’innovazione eseguita legittimamente a spese del proprietario, e come tale non richiedente l'autorizzazione del condominio ex artt. 1120, 1121 c.c., non pregiudicante la stabilità o il decoro architettonico dell'edificio. Né poteva assumere rilievo, secondo la Corte, il mutamento di destinazione delle unità immobiliari dei convenuti, consentito dal regolamento di condominio, o ritenersi sussistenti immissioni illegittime, dovendo, altresì, considerarsi applicabile nella specie, l'art. 3 della Legge. nr. 13/1989, prevedente deroga "alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati".
Richiamando la giurisprudenza in materia (cfr. Cassazione. n. 14096/2012), la Cassazione rilevava che: "in tema di condominio l'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell'art. 3, comma secondo, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale".
Per cui, ritenendo corretta la valutazione della Corte territoriale, la Suprema Corte. rigettava il ricorso.
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