Coronavirus e Condominio
Le regole di comportamento
da rispettare
Mascherine: l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di indossare una mascherina solo qualora si sospetti di avere contratto il nuovo Coronavirus o in presenza di sintomi quali tosse e/o starnuti, oppure nel caso che ci si prenda cura di una persona con sospetta infezione da nuovo Coronavirus.
Naturalmente l’augurio è che quanto prima le condizioni complessive del paese consentano di tornare ad uno stile di vita come in precedenza, magari avendo acquisito comportamenti più consapevoli rispetto al passato.
Alla luce delle recenti disposizioni normative emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M. 08 marzo 2020) per la prevenzione del contagio da Coronavirus – SARS-Cov-2 (malattia COVID19), lo Studio sarà chiuso al ricevimento del pubblico fino alla data del 03/04/2020, salvo proroghe dettate da successivi decreti e/o provvedimenti.
Restano attivi i normali canali di comunicazione (telefono, mail, fax)
Per quanto riguarda la gestione degli interventi richiesti cercheremo di darvi seguito per quanto fattibile sia pure con possibili ritardi nell’erogazione dovuta ad una possibile riduzione del personale attivo delle aziende che prestano la loro attività manutentiva a favore dei condomini da noi amministrati.
Vista l’attuale situazione di emergenza, e data l’impossibilità di convocare assemblee nel periodo di validità del D.P.C.M. 08/03/2020, per i condomini in scadenza di gestione, qualora necessario al fine di garantire continuità ai servizi condominiali evitando di generare situazioni di sofferenza finanziaria, procederemo ad elaborare una bozza di bilancio preventivo ordinario predisposto sulla base di quanto approvato a consuntivo nell’ultimo anno gestionale con richiesta di versamento della prima rata in acconto.
Al termine dell’emergenza ci attiveremo per convocare tutte le riunioni che, stante la necessità di recuperare in breve tempo l’evidente ritardo accumulato, potranno essere organizzate anche di mattina e nel primo pomeriggio.
In concomitanza alla circolare nr. 2 del 14 febbraio, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una guida che illustra dettagliatamente come funziona, quali sono le zone che possono usufruirne e quali sono i lavori che possono essere posti in detrazione con questa nuova agevolazione.
La proposta del bonus facciate è stata avanzata dal Ministro dei beni Culturali Dario Franceschini ispirandosi alla legge Malraux, proposta in Francia dallo scrittore e politico francese André Malraux ed approvata nel 1962. Lo scopo è quello instaurare un circolo virtuoso dando così un nuovo volto alle nostre città. Secondo i dati della relazione accompagnatoria al Ddl di Bilancio, gli interventi derivanti dai lavori in casa, nei quali rientrano anche il bonus ristrutturazioni, l’eco ed il sisma bonus oltre all’agevolazione per i giardini ed i terrazzi, porteranno ad investimenti per un ammontare complessivo di circa 4 miliardi e di questi circa 1,6 miliardi provenienti proprio dal bonus facciate.
L’agevolazione consiste in una detrazione d’imposta, da ripartire in 10 quote annuali costanti da far valere nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in corso fino al 31 dicembre e nei nove periodi d’imposta successivi, pari al 90% delle spese sostenute nel 2020 per interventi di manutenzione ordinaria volti al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti ubicati in determinate zone, compresi quelli di sola tinteggiatura esterna limitatamente alle sole strutture opache della facciata, balconi, ornamenti e fregi. Non sono previsti limiti di spesa.
Le zone individuate dalla normativa e che possono godere di detta detrazione sono le zone A e B individuate dall’articolo 2 del decreto n. 1444/1968 del Ministro dei lavori pubblici; nello specifico la prima include le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti che possono considerarsi quale parte integrante degli stessi mentre la seconda include le altre parti del territorio edificate, anche solo in parte, considerando tali le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore a 1,5 mc/mq.
Escluse le zone C, ovvero quelle a minore densità abitativa.
Il riferimento da tenere in considerazione per beneficiare della detrazione del 90% è, pertanto, quello delle zone, e non le categorie catastali.
Tutte le informazioni per sapere in quale zona si trova l’immobile per cui si vuole richiedere il bonus facciate si trovano sul sito del proprio comune facendo riferimento ai dati della classificazione del territorio comunale.
Nel caso in cui i lavori di rifacimento della facciata no siano di sola tinteggiatura esterna, ma che riguardino interventi che influiscono dal punto di vista termico o interessino oltre il 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda complessiva dell’edificio viene richiesto che siano soddisfatti i requisiti di cui al decreto Mise 26 giugno 2015 (“Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”) e quelli relativi ai valori di trasmittanza termica indicati alla tabella 2 allegata al decreto Mise 11 marzo 2008.
In questi casi l’ENEA effettuerà controlli sulla sussistenza dei necessari presupposti secondo le procedure e modalità stabilite dal decreto interministeriale dell’11 maggio 2018.
Al bonus facciate si applicano le disposizioni previste dal decreto Mef n. 41/1998, ovvero il regolamento in materia di detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia.
Sul Bonus Facciate l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una guida specifica preceduta dalla circolare nr.2/E.266
Per avere diritto a godere del bonus facciate occorre realizzare interventi di recupero o restauro della facciata esterna di edifici esistenti, di qualsiasi categoria catastale essi siano, anche di quelli strumentali;
Vediamo quindi le novità ed i limiti del bonus facciate, ovvero quali sono i lavori che rientrano e quelli invece esclusi dalla detrazione IRPEF del 90%.
Come detto non ci sono limiti massimi di spesa e tutti possono beneficiarne: persone fisiche o imprese, inquilini e proprietari, residenti e non nel territorio dello Stato ed i lavori di recupero della facciata esterna possono essere effettuati su qualsiasi categoria catastale di edifici, comprese quelli strumentali, purché siano già esistenti.
In considerazione del fatto che non sussistono limiti di spesa, non prevista nemmeno una soglia massima di detrazione, inoltre, i contribuenti interessati non possono: cedere il credito corrispondente alla detrazione spettante oppure optare per un contributo di pari ammontare, sotto forma di sconto in fattura sul corrispettivo dovuto al fornitore che ha effettuato gli interventi.
Sono ammessi all’agevolazione le persone fisiche, compresi gli esercenti arti e professioni; gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale; le società semplici; le associazioni tra professionisti ed i contribuenti che conseguono reddito d’impresa (persone fisiche, società di persone, società di capitali).
La detrazione non può essere utilizzata da chi possiede esclusivamente redditi assoggettati a tassazione separata o a imposta sostitutiva.
Per usufruire dell’agevolazione, i beneficiari devono possedere o detenere l’immobile oggetto dell’intervento in base a un titolo idoneo al momento di avvio dei lavori o al momento del sostenimento delle spese qualora antecedente al predetto avvio e, naturalmente, la data di inizio dei lavori deve risultare dai titoli abilitativi, se previsti, o da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
L’agevolazione riguarda tutti i lavori effettuati sull’involucro esterno visibile dell’edificio, ovvero la parte anteriore, frontale e principale dell’edificio sia sugli altri lati dello stabile (intero perimetro esterno) mentre non spetta per le facciate interne se non visibili dalla strado da suolo ad uso pubblico.
Il bonus non spetta pertanto per gli interventi eseguiti sulle facciate interne dell’edificio se non siano visibili dalla strada o da suolo pubblico e non potrà essere richiesto per interventi su superfici confinanti con chiostrine, cavedi, cortili e spazi interni, fatte salve quelle visibili dalla strada o da suolo ad uso pubblico; esclusa anche la sostituzione di vetrate, infissi, portoni e cancelli.
La detrazione non spetta neanche per gli interventi effettuati durante la fase di costruzione dell’immobile o realizzati mediante demolizione e ricostruzione, compresi quelli con la stessa volumetria dell’edificio preesistente, inquadrabili nella categoria della “ristrutturazione edilizia”.
I lavori che rientrano nel bonus facciate sono quelli che fanno parte della manutenzione ordinaria ovvero: interventi sulle strutture opache della facciata; lavori su balconi, ornamenti, marmi e fregi; pulitura; tinteggiatura esterna; interventi di pulitura o tinteggiatura influenti dal punto di vista termico o che interessino oltre il 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda complessiva dell’edificio; il consolidamento, il ripristino, il miglioramento delle caratteristiche termiche anche in assenza dell’impianto di riscaldamento; il consolidamento, il ripristino, compresa la sola pulitura e tinteggiatura della superficie, o il rinnovo degli elementi costitutivi dei balconi, ornamenti e dei fregi; i lavori riconducibili al decoro urbano: quelli riferiti alle grondaie, ai pluviali, ai parapetti, ai cornicioni e alla sistemazione di tutte le parti impiantistiche che insistono sulla parte opaca della facciata.
È possibile portare in detrazione anche le spese per: l’acquisto dei materiali, la progettazione e le altre prestazioni professionali connesse, richieste dal tipo di lavori, come l’effettuazione di perizie e sopralluoghi, il rilascio dell’attestato di prestazione energetica; gli altri eventuali costi strettamente collegati alla realizzazione degli interventi, per esempio: le spese relative all’installazione di ponteggi, allo smaltimento dei materiali rimossi per eseguire i lavori, l’IVA, l’imposta di bollo e i diritti pagati per la richiesta di titoli abitativi edilizi, la tassa per l’occupazione del suolo pubblico.
Da tenere presente che il bonus facciate può essere richiesto anche per le spese documentate durante il 2020, senza altri riferimenti temporali, il che significa che può essere richiesto anche per i lavori iniziati nell’anno 2019.
Nel caso di esecuzione di lavori che interessano l’edificio anche dal punto di vista termico è stato posto un limite, ovvero se si decide di rifare l’intonaco di almeno il 10% della superficie della facciata, si dovranno rispettare i requisiti di efficienza energetica e di trasmittanza previsti dal decreto del Ministro dello Sviluppo economico del 26 giugno 2015, aggiornato dal decreto ministeriale del 26 gennaio 2010 il che significa optare per la realizzazione del cappotto termico che rientra tra i lavori dell’ecobonus nel quale caso i due bonus sono cumulabili.
Per ottenere la detrazione del 90% delle spese sostenute, le persone fisiche non titolari di reddito d’impresa dovranno effettuare il pagamento tramite bonifico bancario o postale, anche online, dal quale risultino: la causale del versamento; il codice fiscale del beneficiario della detrazione; il numero di partita IVA o il codice fiscale del soggetto, ditta o professionista che ha eseguito i lavori, a favore del quale è stato eseguito il bonifico.
È possibile utilizzare i bonifici già predisposti per la detrazione prevista per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di quella per la riqualificazione energetica degli edifici, il cosiddetto ecobonus, e sono validi anche i bonifici eseguiti utilizzando conti aperti presso gli istituti di pagamento, ovvero quelle imprese, diverse dalle banche, autorizzate dalla Banca d’Italia a prestare servizi di pagamento. Su questi bonifici le banche, Poste Italiane Spa e gli istituti di pagamento autorizzati applicano una ritenuta d’acconto dell’8%.
I contribuenti titolari di reddito d’impresa devono seguire gli stessi adempimenti sopra elencati con l’obbligo di eseguire il pagamento tramite bonifico, dato che il momento dell’effettivo pagamento della spesa non assume alcuna rilevanza ai fini della determinazione del reddito d’impresa.
Per quanto riguarda gli altri adempimenti, i contribuenti sono tenuti a: indicare nella dichiarazione dei redditi i dati catastali identificativi dell’immobile e, se i lavori sono effettuati dal detentore, gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo e gli altri dati richiesti ai fini del controllo della detrazione; comunicare preventivamente la data di inizio dei lavori all’azienda sanitaria locale territorialmente competente, mediante raccomandata, quando obbligatoria, secondo le disposizioni in vigore sulla sicurezza dei cantieri.
I contribuenti che vogliono ottenere il bonus facciate devono conservare con cura: le fatture comprovanti le spese effettivamente sostenute per la realizzazione degli interventi; la ricevuta del bonifico attraverso cui è stato effettuato il pagamento; le abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia in relazione alla tipologia di lavori da realizzare o, nel caso in cui la normativa edilizia non preveda alcun titolo abilitativo, una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in cui sia indicata la data di inizio dei lavori ed attestata la circostanza che gli interventi posti in essere rientrano tra quelli agevolabili; la copia della domanda di accatastamento, per gli immobili non ancora censiti; le ricevute di pagamento dei tributi locali sugli immobili, se dovuti; la copia della delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori, per gli interventi riguardanti parti comuni di edifici residenziali, e la tabella millesimale di ripartizione delle spese; la dichiarazione di consenso all’esecuzione dei lavori, nel caso in cui gli stessi siano effettuati dal detentore dell’immobile, diverso dai familiari conviventi.
Per gli interventi di efficienza energetica, oltre a quanto sopra elencato i contribuenti dewvono conservare l’asseverazione, con la quale un tecnico abilitato certifica la corrispondenza degli interventi effettuati ai requisiti tecnici previsti per ciascuno di essi e l’attestato di prestazione energetica (APE) per ogni singola unità immobiliare per cui si chiedono le detrazioni fiscali, che deve essere redatto da un tecnico non coinvolto nei lavori.
Inoltre entro 90 giorno dalla fine dei lavori devono inviare la comunicazione all’ENEA utilizzando la scheda descrittiva relativa agli interventi realizzati che deve essere inviata solo ed esclusivamente in via telematica tramite il sito https://detrazionifiscali.enea.it/ indicando: i dati identificativi dell’edificio e di chi ha sostenuto le spese; la tipologia di intervento effettuato; il risparmio annuo di energia che ne è conseguito; il costo dell’intervento, comprensivo delle spese professionali; l’importo utilizzato per il calcolo della detrazione.
Per spiegare bene come funziona il bonus facciate 2020 occorre attendere l'approvazione del testo definitivo della Legge di Bilancio 2020 e del decreto fiscale 2020 oltre alla successiva guida dell’Agenzia delle Entrate che spiegherà nel dettaglio cos'è e come funziona, quanto spetta di detrazione, come effettuare il pagamento, da quando partirà ed il limite di spesa massimo agevolabile, in quanti anni va suddiviso il rimborso Irpef, se sarà ammessa la cessione del credito per gli incapienti, se sarà soggetto allo sconto fattura in caso ad esempio di cappotto termico o altri interventi di risparmio energetico sull'edificio e quanto durerà.
Al momento sappiamo che il bonus facciate partirà dal 2020 all'interno del pacchetto dei bonus casa 2020 i cui interventi sono stati tutti prorogati per un altro anno.
La proroga delle detrazioni fiscali è stata riconosciuta nel 2020 su ristrutturazioni, riqualificazione energetica, adeguamento antisismico, acquisto di mobili ed elettrodomestici mentre il bonus verde di balconi, giardini e terrazzi parrebbe non essere stato prorogato.
Per quanto riguarda il bonus facciata 2020 la detrazione delle spese sarà pari al 90% e probabilmente varrà anche per le spese sostenute nell’anno 2019.
Il bonus, i cui limiti di importo non sono ancora chiari così come quali saranno le spese specifiche ammesse in detrazione fiscale probabilmente prevederà un limite di spesa pari a 192.000,00 Euro e verrà riconosciuto anche in caso di manutenzione ordinaria oltre ad essere cumulabile con altre misure di risparmio energetico.
Le spese ammesse al bonus facciata 2020 dovrebbero essere le seguenti:
intonacatura;
verniciatura;
balconi;
rifacimento di ringhiere;
decorazioni;
marmi di facciata;
impianti di illuminazione;
impianti pluviali;
cavi tv.
La proroga di un anno è prevista per tutto il pacchetto relativo ai lavori in casa ovvero:
Il futuro ci porterà, senza dubbio, ad un aumento di vetture elettriche in circolazione e, conseguentemente, alla necessità di realizzare delle stazioni di ricarica all’interno dei nostri garage.
Cosa occorre, quindi, per realizzare all’interno del proprio garage una stazione di ricarica nel rispetto di tutte le normative vigenti?
Le norme di riferimento sono, per quanto riguarda la parte impiantistica la norma
CEI 64-8 V5 sez. 722 - Alimentazione dei veicoli elettrici
mentre per quanto riguarda la prevenzione incendi la
Circolare 2/2018 M.I. - Linee guida VV.FF. per l’installazione di infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici
dato che le autorimesse risultano soggette anche a queste linee guida.
Volendo riassumere gli adempimenti contenuto nelle normative di cui sopra possiamo dividerli in due gruppi:
REQUISITI ELETTRICI
(estratto Norma CEI 64-8 V5 sez. 722)
REQUISITI ANTINCENDIO
(estratto della Circolare 2/2018 M.I. VV.FF)
STAZIONE DI RICARICA PER VEICOLI ELETTRICI
Per quanto riguarda la stazione di ricarica le connessioni in Modo C, ovvero con cavo con connettore permanentemente fissato all’infrastruttura, dovranno riportare inoltre chiaramente la seguente dicitura:
ATTENZIONE: ISPEZIONARE A VISTA IL CAVO PRIMA DI CIASCUN UTILIZZO
Per quanto poi riguarda la documentazione tecnica essa deve comprendere:
Per il distacco occorre rispettare quanto previsto dall'articolo 1118 comma 3 del codice civile che stabilisce che “Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Tutto facile quindi? Niente affatto dato che se è vero che la giurisprudenza negli anni ha configurato un vero e proprio diritto al distacco dall'impianto centralizzato senza necessità di ottenere una preventiva autorizzazione o approvazione da parte dell’assemblea, con l'unico limite che dal distacco non derivi un aggravio di spese a carico degli altri condomini o alterazioni alla corretta funzionalità dell’impianto stesso.
Non risulta più indispensabile valutare preventivamente se nel regolamento di condominio vi siano contenuti divieti specifici in merito in quanto la Corte di Cassazione con sentenza nr. 11970/17 del 12/05/2017 ha stabilito la nullità della clausola del regolamento di condominio che impedisca il distacco del singolo condomino dall’impianto centralizzato o che lo subordini al consenso dell’assemblea ma occorre produrre all'amministratore la seguente documentazione:
- descrizione degli interventi che si intenderebbe eseguire;
- rilievi sull'abitazione e sulle caratteristiche dello stabile;
- una descrizione delle caratteristiche dell'impianto centralizzato per l'individuazione del calore di cui l'appartamento di chi si distacca andrà a beneficiare per il fatto che sarà confinante con pareti, soffitti o pavimenti o colonne che all'interno godono del passaggio di tubazioni del riscaldamento centralizzato;
- una dichiarazione in merito al fatto che la presenza del riscaldamento autonomo non determinerà un depotenziamento di quello centralizzato o alcun danno al condominio;
- la quantificazione economica del beneficio determinato dall'induzione del calore derivante dal riscaldamento centralizzato.
Occorre quindi un passaggio in assemblea per il recepimento, non l'approvazione, da parte dei condomini distacco comprovato da perizia redatta da un tecnico abilitato che provi come dallo stesso derivi un’effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e che escluda qualsiasi rischio di squilibri nel regolare funzionamento dell’impianto centrale.
E' anche opportuno evidenziare come il passaggio dall'impianto centralizzato di riscaldamento ad impianti autonomi non goda più da tempo di quel favore che, in passato, ha trovato in alcune sentenze della Corte di Cassazione venendo anzi, molto spesso, scoraggiato se non addirittura impedito da norme statali e regionali come, ad esempio, hanno fatto la regione Piemonte con legge regionale 13/2007 e delibera di Giunta del 4.8.2009 nr. 46-11968, punto 1.4 e la regione Lombardia con delibera di Giunta nr. IX/2601 del 30.11.2011; art. 6.
Da considerare anche come l'articolo 1118 del codice civile chiami comunque il condomino che si distacca dall'impianto di riscaldamento centralizzato a sostenere le spese di manutenzione straordinaria dello stesso; impianto che il Dpr. 412/1993 identifica come "tutti quegli interventi atti a ricondurre il funzionamento dell'impianto a quello previsto dal progetto o dalla normativa vigente mediante il ricorso in tutto o in parte a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioni ricambi di parti, ripristini, previsione o sostituzione di apparecchi o componenti dell'impianto termico" aggiungendo poi:”e per la sua conservazione e messa a norma”, rientrando in tale definizione ulteriori costi non meglio identificati ed identificabili come previsione futura e, sicuramente rientrando nella definizione di "conservazione" tutti quegli interventi necessari nel tempo a mantenerne il regolare funzionamento il che significa, in estrema sintesi, anche le spese relative alla manutenzione ordinaria; le prime perché il condomino che si distacca resta comunque proprietario pro quota dell’impianto comune e, quindi, un giorno potrebbe tornare a preferire il centralizzato; mentre le seconde perché, comunque, si avvantaggia del calore disperso attraverso un indiretto riscaldamento del proprio appartamento su cui passano i tubi condominiali.
Come ultimissima nota poi è da tenere presente l’obbligo di rispettare le normative vigenti sulle canne fumarie, cosa senza dubbio di difficile attuazione pratica negli edifici che sono stati progettati, ab origine, con un sistema centralizzato di riscaldamento e, comunque, con implicazioni non indifferenti sull'estetica del condominio con tutto quanto, ovviamente, ne consegue.
Da evidenziare anche come la riforma poi si trovi in contrasto con alcune disposizioni comunitarie e nazionali.
Attenzione: con rinuncia al servizio si fa riferimento al distacco dall’impianto e non all’ipotesi in cui si resti allacciati al servizio ma si ommetta di servirsene!
L’articolo 70 delle disposizioni di attuazione del codice civile recita: “Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie. L'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del Codice”. La prima domanda che gli addetti ai lavori si sono posti è stata se la sanzione potesse essere comminata dall'amministratore, se fosse necessario un passaggio assembleare o come altro procedere per evitare la possibilità di innescare ulteriori contenziosi piuttosto che risolvere i problemi come, probabilmente, era nelle intenzioni del legislatore ed a risolvere la questione è stato il d.l. n. 145/2013, ovvero il così detto decreto Destinazione Italia, il quale modificando l’articolo 70 di cui sopra ha specificato che la sanzione può essere irrogata dall'assemblea con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti alla riunione ed almeno la metà del valore millesimale dell'edificio. E’ importante peraltro che la previsione della sanzione sia contenuta espressamente nel regolamento condominiale e non semplicemente deliberata in sede di assemblea; se invece il regolamento non dovesse contenere tale previsione lo si potrà eventualmente modificare in sede di assemblea di condominio inserendo detta proposta all’ordine del giorno ed approvandola con la maggioranza prevista dall’articolo 1136 secondo comma del codice civile, ovvero a maggioranza dei presenti in assemblea e sempre che questi rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio. Il condomino sanzionato potrà impugnare la delibera assembleare entro 30 giorni dalla data dell’assemblea, se presente, o dalla data di ricezione del verbale della stessa. Ovviamente non possono essere previste sanzioni pecuniarie di importo superiore a quello stabilito dalla legge, pertanto saranno ritenute illegittime eventuali delibere assembleari che dovessero prevedere sanzioni di importo maggiore. Per l'applicazione della sanzione, se da un lato è chiaro che sia di competenza dell'assemblea, dall’altro non si comprende quali debbano essere le modalità di accertamento della violazione pertanto, al fine di evitare possibili contestazioni in merito alla nullità della delibera per violazione del diritto dei singoli condomini o di annullabilità per eventuali eccessi di potere, l’accertamento dovrà essere fondato su elementi documentali che dovranno entrare a fare parte del verbale d'irrogazione della sanzione così che sia sempre possibile dimostrare la violazione. Sarebbe utile, quindi, prevedere una procedura di accertamento chiara e precisa. Attenzione! Le multe possono essere applicate solo nei confronti dei condomini, per cui sono da considerarsi illegittime le sanzioni applicate, per esempio, ai conduttori (in caso di contratto di locazione o di affitto).
l'articolo 2 della Direttiva Macchine 2006/42/CE, recepita e resa obbligatoria dal D. Lgs. 17/2010, identifica come macchine cancelli con ante scorrevoli e battenti, porte, sbarre automatiche, serrande, etc. prescrivendo che siano corredati di un fascicolo tecnico e di un libretto d'uso e manutenzione predisposti dal costruttore/installatore, che siano marcati CE e che siano soggetti a manutenzione obbligatoria secondo quanto previsto dal DM 37/2008 oltre che sottoposti a controlli periodici, necessari a garantire sia il loro regolare funzionamento che il rispetto ed il mantenimento dei requisiti di sicurezza che sono previsti dalle normative vigenti.
Per quanto sopra elencato ci si deve quindi accertare di essere in possesso del fascicolo tecnico della macchina e, qualora mancante, se ne deve richiedere, a mezzo lettera raccomandata o PEC, una copia al costruttore o all’installatore; se nonostante tale richiesta dovesse risultare ancora mancante si dovrà procedere ad incaricare un soggetto terzo per l'esecuzione di una procedura completa di analisi dei rischi che consenta di ricostruire la documentazione tecnica riportante le caratteristiche della macchina e la tipologia degli interventi manutentivi da effettuare rilasciando la Dichiarazione di Rispondenza della macchina secondo quanto previsto dal D.M. 37/2008.
Altra cosa indispensabile alla quale si dovrà provvedere per stare tranquilli è quella di affidare la manutenzione della macchina ad una ditta specializzata e che tale manutenzione preveda l’esecuzione degli interventi tenendo conto e rispettando le indicazioni contenute nel manuale di uso e di manutenzione.
Si dovrà poi provvedere ad affidarne la verifica periodica ad un organismo di ispezione in modo che mantenga aggiornata l'analisi dei rischi, provvedendo a verificare sia il corretto funzionamento sia il mantenimento dei requisiti di sicurezza della macchina previsti in fase di certificazione iniziale e, in presenza di eventuali non conformità che dovessero risultare segnalate sul verbale ispettivo, si dovrà, ovviamente, porvi rimedio immediatamente.
Fatta questa premessa andiamo quindi a distinguere come comportarsi in presenza di una nuova installazione ed in presenza di un impianto esistente.
Impianto di nuova installazione: l’amministratore del condominio deve ricevere dall'azienda installatrice: la Dichiarazione di Conformità CE dell’impianto in base alla Direttiva Macchine e alle norme di sicurezza collegate; il manuale di uso e manutenzione ed il registro delle manutenzioni, che dove essere conservato e aggiornato ad ogni intervento.
Impianto esistente: nel caso esso sia datato e privo della necessaria documentazione si dovrà richiedere all’installatore la valutazione dell’idoneità di tutti i suoi componenti, la verifica del funzionamento dell’automazione e dei componenti accessori, la misurazione delle forze, e la relazione sullo stato dell’impianto indicando gli interventi necessari per la sua messa a norma. Inoltre si dovranno richiedere il rilascio della dichiarazione CE di conformità ed il libretto di manutenzione.
E’ opportuno sottolineare come la manutenzione periodica sia obbligatoria e che è la stessa Direttiva Macchine che istituisce l’obbligo della manutenzione annuale, o semestrale, in base all’utilizzo di alcuni dispositivi di sicurezza; sarà lo stesso installatore a fornire le informazioni giuste riguardo.
Il proprietario o l’amministratore del condominio sono tenuti, pertanto, ad attivare un servizio di manutenzione programmata sottoscrivendo un contratto di manutenzione.
Innanzitutto quando si parla di uso della cosa comune in ambito condominiale è bene richiamare quanto disciplinato nelle disposizioni codicistiche agli articoli 1102 e seguenti del codice civile applicabili alla comunione in genere e ricordare anche come le parti comuni siano di proprietà di tutti i condomini così come sancito dall’articolo 1117 del codice civile.
Partendo da questi presupposti, pertanto, ogni condomino “può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”; naturalmente il tutto senza che il condomino estenda il suo diritto sulla cosa comune a danno degli altri partecipanti.
La norma, dunque, stabilisce il principio dell’uso paritario della cosa comune, che in materia condominiale prevede normalmente tre diverse soluzioni:
Infatti, se la natura del bene di proprietà comune non ne permette un godimento simultaneo, l’uso comune può realizzarsi o mediante l’avvicendamento oppure mediante l’uso indiretto, cedendolo per esempio in locazione, in seguito ad una delibera assembleare presa con la maggioranza legalmente prescritta.
A questo proposito, la Suprema Corte ha stabilito che i condomini possono deliberare l’uso indiretto della cosa comun, con la maggioranza legalmente prescritta, quando non sia possibile l’uso diretto per tutti i partecipanti al condominio proporzionalmente alla loro quota [Cassazione sentenza nr. 15460/2002].
L’uso indiretto della cosa comune è quindi consentito, ma solo come ultima soluzione e, comunque, a fronte di una delibera assembleare presa dalla maggioranza dai condomini.
L’assemblea condominiale può dunque scegliere diverse soluzioni:
– può assegnare i posti auto in via esclusiva, a seguito di delibera unanime di tutti i condomini;
– predisporre un sistema a rotazione dei posti auto per evitare la violazione del principio del godimento paritario;
– in alternativa, propendere per l’uso indiretto della cosa comune, assegnando i posti auto in locazione agli stessi condomini [Cassazione sentenza nr. 4131/2001.].
La Suprema Corte inoltre ha stabilito che il condomino che lascia parcheggiata l’auto per lunghi periodi nel cortile condominiale manifesta la volontà di possedere il bene in maniera esclusiva, impedendo il pari utilizzo da parte degli altri condomini e, quindi, occupando stabilmente uno spazio comune oltrepassa i limiti previsti dalla legge sull’utilizzo degli spazi comuni compiendo, di fatto, un abuso [Cassazione sentenza, nr. 3640/04].
Nel caso in cui l’assemblea deliberi che il parcheggio nei posti auto condominiali sia consentito soltanto ai condomini residenti, il condominio ha esercitato un diritto consentito dalla legge, ovvero quello di scegliere le modalità di godimento della cosa comune ed anche le eventuali limitazioni; per stabilirlo è sufficiente il consenso della sola maggioranza, non essendo in questo caso prevista la regola dell’unanimità della delibera.
A fronte di quanto sopra esposto è quindi anche possibile affermare che il singolo condomino, il quale abbia ricevuto la possibilità di godere per un certo periodo di un posto auto condominiale, non può decidere arbitrariamente di affittarlo a terzi salvo che non vi sia a monte una decisione collegiale, presa dall’assemblea a maggioranza, che stabilisca l’uso indiretto della cosa comune, per esempio consentendone la locazione a soggetti esterni oppure una delibera unanime di assegnazione esclusiva dei posti auto ai singoli che potrebbero, pertanto, in questo caso cederne legittimamente a terzi il godimento.
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