Per mantenere efficienti e come nuove le tende da sole il più a lungo possibile basta poco, infatti con una manutenzione ordinaria e poche attenzioni corrette è possibile garantire il loro funzionamento e la loro durata nel tempo.
Di seguito alcuni consigli:
Queste procedure, come detto, andrebbero ripetute con periodicità, ancor di più se la tenda è esposta continuamente a smog o detriti, e come regola andrebbe eseguita con meticolosità al termine della stagione estiva così da richiuderla pulita ed asciutta così da evitare che con la stagione fredda ed umida si forino sul telo marciume e muffe.
L’esigenza dell’espletamento dei bisogni fisiologici dei cani d’affezione e quello dei proprietari dei beni che ne vengono imbrattati vengono a scontrarsi, ancor quando ci si trova all’interno di un condominio.
L’utilizzo delle parti comuni del condominio dovrebbe sempre avvenire nel rispetto della legge e dovrebbe prevalere sempre ed in ogni caso il rispetto altrui ma se questo non avviene, come purtroppo spesso accade, come ci si può tutelare?
Dal punto di vista giuridico generalmente si fa riferimento all’ordinamento comunale ed al codice della strada; il primo, ovviamente, si limita a regolamentare la materia facendo riferimento alle aree pubbliche o ad uso pubblico mentre il secondo all’articolo 15, comma 1 lettera F vieta e sanziona l'imbrattamento della stessa e delle sue pertinenze.
Quando ci si trova sulla proprietà condominiale queste norme ovviamente non trovano applicazione, avendo valenza solo per le parti pubbliche o aperte al pubblico, anche se, talvolta, i giudici le prendono in considerazione anche per le aree private con il fine di valutare i comportamenti oggetto del loro esame ed il regolamento di condominio, come è facilmente comprensibile, è valido ed opponibile solo nei confronti dei condomini o dei loro ospiti per i quali risultano essere responsabili.
Nel caso che i proprietari che permettono ai propri cani di lordare le parti comuni siano dei condomini l’amministratore può inviare delle circolari di richiamo generico a tutti così come, qualora identificati chiaramente, richiamarli a mezzo lettera raccomandata
Va detto peraltro che in questo caso è indispensabile che vi sia la certezza dell’identificazione e la possibilità di dimostrare inconfutabilmente la responsabilità del condomino; quindi l’amministratore non potrà certo basarsi su una semplice segnalazione ricevuta da parte di un altro condomino che, come molto spesso accade, vuole anche restare anonimo.
Una volta richiamato ufficialmente, qualora il proprietario del cane dovesse persistere nel proprio comportamento incivile è possibile fare ricorso al codice penale che prevede il reato di imbrattamento di cose altrui all’articolo 639 intitolato: Deturpamento e imbrattamento di cose altrui.
Detto articolo recita testualmente: ”Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 103,00 Euro.
Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300,00 a 1.000,00 Euro.
Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000,00 a 3.000,00 Euro. Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000,00 Euro. Nei casi previsti dal secondo comma si procede d'ufficio”.
C’è poi anche l’articolo 635 del codice penale che riguarda il reato più grave di danneggiamento, che compie “chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili”
Recentemente si è espressa in materia anche la Corte di Cassazione con sentenza nr. 7082 del 2015 con la quale ha stabilito che il comportamento di cui sopra rientra nella fattispecie di imbrattamento, definito come “un'azione che consiste nell'insudiciamento, prodotto con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi modo idoneo, della cosa altrui - essendo irrilevante che l'alterazione sia temporanea o superficiale e che la res possa essere facilmente reintegrabile nel suo aspetto originario anche con modesta spesa”.
Occorre quindi verificare la presenza del dolo, cioè l'elemento soggettivo così che tale comportamento possa rientrare nella fattispecie appena descritta piuttosto che nella colpa; infatti in questo secondo caso non vi sarebbe il reato di deturpamento e di imbrattamento e questo in quanto se la legge non specifica diversamente, i delitti sono punibili solo per dolo::
Da segnalare come il reato ex articolo 639 del codice penale sia considerato delitto.
Ovviamente la presenza della volontà deve essere verificata caso per caso, pertanto nella sentenza di cui sopra la Suprema Corte ha escluso l'illecito in quanto il proprietario del cane, pur colpevole di malgoverno dell'animale, si era però subito affrettato a versare dell'acqua dalla bottiglietta che aveva con sè.
La Corte nelle proprie conclusioni afferma che “la possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare beni di proprietà di terzi è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile, non essendo ipotizzabile che l'animale sia costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici all'interno di luoghi di privata dimora (o comunque di ambienti chiusi) privi di pertinenze esterne (cortili, giardini, ecc.). Da quanto sopra quindi deriva che si può richiedere, a chi conduce un cane sulla pubblica via, solo un corretto governo di tale inevitabile rischio, ad esempio attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sui comportamenti dell'animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento utilizzando un guinzaglio, come peraltro previsto dalle norme vigenti, o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere, quantomeno nell'immediatezza, dall'azione”.
Difficile quindi, come si può ben capire dalla lettura di quanto sopra esposto, mettere in atto azioni efficaci nei confronti di quei condomini che lasciano che il proprio cane lordi le parti comuni; ancor più, direi quasi impossibile, nei confronti di chi non è neanche condomino e la cui identificazione, ovviamente, risulta pressocchè impossibile.
Cos’è l’Acqua Calda Sanitaria?
acqua calda che viene prodotta dalla caldaia per utilizzarla sia in bagno che in cucina.
Si può bere o utilizzare per la cottura dei cibi?
L’acqua calda sanitaria viene prodotta riscaldando l’acqua fredda proveniente dall’acquedotto e che, pertanto, è potabile; tuttavia durante la fase di riscaldamento può subire alcune lievi alterazioni che ne rendono sconsigliabile l’utilizzo alimentare.
Viene trattata?
La normativa vigente prevede che l’acqua calda sanitaria debba essere erogata con una “durezza” prestabilita, ovvero che abbia un contenuto di calcio e di magnesio che non risultino superiori a determinati valori limite. Nel caso in cui l’acqua proveniente dall’acquedotto dovesse risultare con valori di “durezza” elevati, come avviene in determinate aree geografiche, allora generalmente viene installato un sistema, chiamato addolcitore, che riporta questi valori entro i limiti previsti trattenendo i sali di calcio e di magnesio indesiderati.
La legionella
E’ un batterio che, in determinate condizioni, prolifera nell’acqua calda e che se inalato grazie ad esempio alla nebulizzazione dell’acqua come avviene in doccia, può provocare una seria malattia polmonare, soprattutto in soggetti già debilitati. Per questo motivo l’acqua calda, come prevenzione, viene spesso trattata con prodotti specifici o subisce riscaldamenti periodici oltre i 70°C, detti shock termici, allo scopo di eliminare e/o contrastare la presenza della legionella.
I trattamenti con prodotti chimici rendono l’acqua non potabile?
I prodotti utilizzati non possono contenere sostanze tossiche o nocive per la salute; resta tuttavia sconsigliato utilizzare l’acqua calda per usi alimentari.
Che temperatura deve avere l’acqua calda sanitaria?
La normativa prevede che l’acqua venga riscaldata a 48°C, con una tolleranza di 5°C in più. Naturalmente in base alla lunghezza delle tubazioni dalla centrale termica ai vari punti di prelievo questa temperatura può diminuire di qualche grado, soprattutto se l’impianto è vecchio e poco isolato.
All’ultimo piano prima di avere acqua calda devo fare scorrere tutta l’acqua fredda che c’è all’interno dei tubi!
Negli impianti centralizzati è previsto un sistema di ricircolo che mantiene calda l’acqua all’interno della tubazione principale fino all’ultimo piano; ovviamente nelle ore di minore utilizzo nei punti più lontani dalla centrale termica può rendersi necessario attendere qualche istante prima che dal rubinetto esca l’acqua calda come desiderato.
Per avere acqua calda devo aspettare che prima esca molta acqua fredda, che naturalmente pago come calda: è giusto?
Generalmente la colonna dell’acqua calda proveniente dalla centrale termica passa in prossimità del contatore dei singoli alloggi e vicino al contatore l’acqua deve uscire dopo pochi secondi; più ci si allontana da questo punto, e più acqua occorre fare uscire dal rubinetto prima che arrivi calda; questo in quanto prima deve uscire dalla tubazione tutta l’acqua presente nel tratto compreso tra il contatore ed il rubinetto, la cui temperatura, naturalmente, è diminuita durante il periodo di stazionamento all’interno della tubazione.
Anche vicino al contatore l’acqua calda tarda ad uscire.
Occorre far verificare l’impianto al gestore della centrale termica che, grazie all’utilizzo di opportuni strumenti, può verificare come sia meglio intervenire.
A volte l’acqua scotta
Prima di utilizzare l’acqua calda è buona regola saggiarne la temperatura, soprattutto se si viene utilizzata su bambini; infatti l’impianto potrebbe avere un difetto di regolazione o essere in fase di riscaldamento antilegionella, anche se in questo caso l’operazione viene sempre eseguita durante le ore della notte proprio per evitare che vi possano essere prelievi. Eventualmente occorre segnalare tempestivamente la problematica al gestore dell’impianto.
Dal rubinetto l’acqua esce spruzzando o esce in modo non uniforme
E’ probabile che il rompigetto presente sul rubinetto si sia otturato. Per risolvere l’inconveniente occorre svitare il rompigetto, lavarlo ed immergerlo per alcune ore in un prodotto anticalcare per uso domestico concentrato o, più semplicemente, in aceto di vino puro; successivamente sciacquarlo e disinfettarlo in Amuchina diluita o alcool etilico denaturato lasciandovelo a bagno per circa 30 minuti. Rimuovendo il calcare, infatti, si liberano tutti i forellini da cui passa l’acqua e disinfettando gli erogatori si contrastano efficacemente le condizioni che possono predisporre alla proliferazione di batteri ed altri agenti patogeni. E’ comunque consigliabile sostituire ogni anno le guarnizioni ed i filtrini rompigetto.
Dal rubinetto esce acqua rossastra
Potrebbero essere stati eseguiti degli interventi sulle condutture, anche sulla strada, smuovendosi in tale modo la fanghiglia che normalmente aderisce alle tubazioni. Lo stesso fenomeno può presentarsi dopo un periodo prolungato di mancato utilizzo del rubinetto. Fare correre l’acqua fino a che non ritorna al colore normale. Se il problema persiste allora è possibile che sia in atto un fenomeno di ossidazione all’interno delle tubazioni.
Quanto costa l’acqua calda?
Il costo a metro cubo consumato di acqua calda è determinato dalla somma del costo dell’acqua fredda con il costo relativo alla produzione della stessa, ovvero il costo del combustibile e dell’energia elettrica consumati oltre ad altre voci relative ai costi di gestione della centrale termica.
Mi è stato addebitato un consumo di acqua calda che non ritengo di avere mai utilizzato!
La prima cosa da fare è verificare il corretto funzionamento del proprio contatore segnandosi periodicamente le letture rilevate. E’ da tenere presente che anche le piccole perdite di acqua dai rubinetti, apparentemente innocue, provocano un consumo costante di acqua che può incidere sui consumi finali anche in maniera sensibile.
Come posso fare per ridurre i consumi di acqua?
Mantenendo aperti i rubinetti solo lo stretto necessario, evitando in tale modo di fare scorrere inutilmente l’acqua, e preferire l’utilizzo della doccia piuttosto che della vasca.
Quali sono le normative di riferimento per la qualità dell’acqua e cosa prevedono?
Il DLgs 31/2001 per le acque destinate al consumo umano e le acque potabili.
Le linee guida 2008 regionali e 2015 nazionali per la prevenzione della legionellosi
L’amministratore è responsabile della qualità dell’acqua dal punto di consegna, allacciamento, dall’acquedotto, pertanto è bene che faccia eseguire un’analisi annuale della qualità dell’acqua post addolcitore o post stoccaggio, meglio se direttamente dai rubinetti di alcuni appartamenti, lontano quindi dal punto di consegna.
Cosa prevedono le normative in materia di legionella?
Prevedono una corretta informazione sul rischio legionellosi e, per gli impianti centralizzati, che venga eseguito un monitoraggio almeno nei serbatoi di raccolta dell’acqua e nei ricircoli allo scopo di verificare che non vi sia una presenza del batterio superiore ai limiti massimi consentiti.
La legge nr. 220/2012 nota come “riforma del condominio” ha disposto, all’articolo 1138 del codice civile, che “le norme del regolamento di condominio non possono vietare di possedere o detenere animali domestici” stabilendo che l’animale domestico è parte integrante della famiglia. Questo in quanto ormai oltre il 50% delle famiglie italiane che possiede un animale in casa.
Con la riforma del condominio, pertanto, non è più possibile approvare in sede di assemblea un regolamento di condomino, o una modifica a quello esistente, che vieti di possedere un animale domestico, così come divieti per animali domestici di usare ambienti comuni tipo ascensori o scale in quanto può essere annullato con ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla delibera presentando una semplice lettera in carta libera con la spiegazione dei fatti, così come è possibile fare ricorso al Giudice di Pace nel caso di rumori molesti, scarsa igiene o danni chiaramente causati dall’animale domestico al condominio. Qualsiasi disturbo viene denunciato è comunque soggetto a verifica da parte di personale apposito competente.
Il legislatore ha previsto, sotto la spinta di associazioni ed enti privati e pubblici, specifiche normative dirette a tutelare gli animali e disciplinarne il rapporto di convivenza con l’uomo anche, e soprattutto, in condominio. Nello specifico la legge nr 281 del 14 agosto 1991 " Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo" ha, per la prima volta, identificato legislativamente le cosiddette colonie feline. Successivamente è intervenuta la legge regionale del Lazio, la nr.34 del 21 ottobre 1997 che all'articolo 11 comma 3 stabilisce: "le associazioni di volontariato animalista e per la protezione degli animali possono, in accordo con le aziende USL competenti, avere in gestione le colonie dei felini che vivono in stato di libertà, curandone la salute e le condizioni di sopravvivenza".
La legge 281/91 definisce colonia felina un “gruppo più o meno numeroso di gatti che vivono in un determinato e circoscritto territorio”, ed è bene precisare che anche solo due gatti vengono a rientrare in detta definizione. Inoltre detta legge considera i gatti randagi come esseri viventi titolari di diritti quali la "vita" e la "cura"; diritti che, ovviamente, incontrano il limite della salute pubblica. la Legge 281/91 sancisce la territorialità delle colonie feline quale caratteristica etologica del gatto, riconoscendo loro la necessità di avere un riferimento territoriale;
Il legislatore ha ritenuto che i gatti, animali sociali che si muovono liberamente su un determinato territorio radunandosi in "colonie feline", pur vivendo in libertà, sono stanziali e frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato, creandosi così un loro " habitat" ovvero quel territorio o porzione di esso, pubblico privato, urbano e non, edificato e non, nel quale vivono stabilmente; nessuna norma di legge, né statale né regionale, proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat cioè nei luoghi pubblici e privati in cui trovano rifugio.
L'art. 2 comma 9 della L. n. 281/ 1991, prevede che i gatti in libertà possono essere soppressi soltanto "se gravemente malati o incurabili".
Il legislatore pertanto con queste disposizioni ha voluto riconoscere, regolamentare e tutelare tutti quei comportamenti umani posti in essere in qualsiasi luogo pubblico o privato nei confronti di animali randagi.
Vi sono poi delle leggi provinciali, come la nr.34/1997 della Regione Lazio, che riconoscono al gatto il diritto al territorio formulando un espresso divieto di spostamento dei soggetti dal loro habitat, intendendo per habitat il luogo dove i gatti trovano abitualmente rifugio, cibo e protezione, identificando con questo termine aree sia pubbliche che private.
E’ quindi da considerare assolutamente legittima la permanenza dei gatti nelle aree condominiali, siano esse cortili, garage o giardini, aree ospedaliere, alla stregua della presenza degli uccelli sugli alberi; d'altro canto, al fine di escludere ogni sorta di disturbo per i condomini, la legge prevede che il loro numero sia tenuto sotto controllo attraverso la sterilizzazione e che gli animali siano nutriti nel rispetto dell'igiene dei luoghi.
Se invece i gatti dovessero costituire fonte di danno per i beni comuni o dei singoli, l'assemblea può legittimamente deliberare una serie di provvedimenti, i cosiddetti offendicula, come la disposizione di una rete metallica a patto che sia circoscritta alla zona condominiale in cui si affollano i felini e, pertanto, trattarsi di un intervento proporzionato ex art. 52 del codice penale al pericolo che la presenza dei felini può recare in condominio.
Una sentenza della Cassazione penale del 2006, la nr. 34095 stabilisce peraltro che la delibera assembleare di allontanamento, nel caso in cui la colonia felina dovesse costituire una fonte di danno per i beni comuni o dei singoli condomini, è legittima qualora i mezzi di allontanamento siano rispettosi del sentimento di amore per la natura e degli animali.
Nel caso, infine, che la richiesta di allontanamento della colonia felina venisse motivata da ragioni di sicurezza della salute pubblica, la delibera dell’assemblea risulterebbe legittima ai sensi della Legge 281/1991 articolo 2 comma 9, previo accertamento da parte dei medici del servizio veterinario delle U.S.L. circa l’incompatibilità della permanenza dei gatti nell'area condominiale con le esigenze di salute umana e dell'igiene pubblica.
Tornando al nostro gatto in condominio?
Premesso che valgono sempre le regole dettate dal buon senso, ecco di seguito alcune regole che il proprietario di un gatto è tenuto comunque ad osservare, tenendo bene a mente che, in caso di violazione delle stesse, potrebbe incorrere in sanzioni di natura civile, per violazione del divieto di immissioni o di natura penale per maltrattamento:
La legge nr. 220/2012 nota come “riforma del condominio” ha disposto, all’articolo 1138 del codice civile, che le norme del regolamento di condominio non possono vietare di possedere o detenere animali domestici e sono ormai moltissimi i proprietari di cani che vivono in condominio; naturalmente questo loro diritto incontra, inevitabilmente, il limite costituito dal rispetto dei diritti degli altri condomini alla quiete ed alla salute oltre che i doveri di controllo e di custodia dell’animale nelle parti comuni.
Di seguito ecco un decalogo delle regole che il proprietario di un cane è tenuto comunque ad osservare tenendo bene a mente che, in caso di violazione delle stesse, potrebbe incorrere in sanzioni di natura civile, per violazione del divieto di immissioni o di natura penale per maltrattamento:
1.Portare sempre il cane al guinzaglio corto (mt. 1,50) e con la museruola al seguito quando si attraversano o si sosta negli spazi comuni e nel giardino condominiale.
2.Il cane deve essere tenuto al guinzaglio corto e con museruola al seguito quando si usa l’ascensore condominiale, ricordarsi di portare sempre con sè un deodorante per togliere gli eventuali odori e del materiale per l’eventuale pulizia qualora il cane perda pelo.
Seguendo queste dieci semplici regole il cane trascorrerà le sue giornate in modo sereno e non vi saranno mai motivi di contrasto e di lamentela da parte dei vicini.
La legge stabilisce, come condizione, per impugnare una delibera dell’assemblea e ricorrere alla tutela del tribunale, l’obbligo di tentare prima la mediazione, ovvero di un tentativo di conciliazione teso a cercare una soluzione bonaria tra le parti.
Il procedimento deve essere avviato da chi vuole impugnare la delibera entro il termine di trenta giorni dalla data in cui si è svolta l’assemblea nel caso in cui vi fosse presente di persona o per delega, oppure dalla data in cui ha ricevuto il verbale di detta assemblea qualora fosse assente.
La decisione dell’assemblea può essere nulla o annullabile; nel primo caso è come se le delibere non fossero mai state prese e,: proprio per questo, risultano impugnabili in qualsiasi momento, senza termini di scadenza. Nel secondo caso invece le delibere annullabili diventano valide se non vengono impugnate entro trenta giorni e questo periodo decorre, per i presenti all’assemblea, siano essi presenti di persona o per delega, dal momento della delibera mentre per gli assenti decorre dal giorno in cui hanno ricevuto il verbale d’assemblea.
Sono nulle tutte quelle delibere assembleari che risultano invalide in relazione all’oggetto, prive di elementi essenziali, con un oggetto impossibile o illecito o che non rientra nelle competenze dell’assemblea ed infine quelle che incidono su diritti individuali, su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ogni condomino.
Le delibere annullabili invece diventano valide se non vengono impugnate entro trenta giorni ed il calcolo di questo lasso di tempo decorre, come sopra specificato.
La legge impone al condomino che intende impugnare una decisione dell’assemblea di rivolgersi prima ad un organismo di mediazione che si trovi nella città dove ha sede il tribunale competente per la causa e questo per verificare se sia possibile trovare un accordo con la controparte in modo da evitare una controversia in tribunale.
Se il condomino non avvia il procedimento di mediazione, il giudice non può procedere a decidere il giudizio e fisserà un ulteriore termine per provvedere; in caso di ulteriore inadempimento la domanda verrà rigettata.
Una volta presentata la domanda di mediazione da parte dell’interessato, l’organismo procede a convocare le parti convenute, fissando una data per l’incontro.
La legge stabilisce che il termine di trenta giorni si intende rispettato se, prima della sua scadenza, l’interessato ha avviato il procedimento di mediazione e ciò significa che in questo lasso di tempo non deve essere avviata la causa ma la mediazione.
Ai fini dell’esatto conteggio per controllare che i termini previsti siano stati rispettati deve essere verificato in cui l’organismo ha comunicato alle controparti la data dell’incontro e non, come si potrebbe erroneamente pensare, il giorno in cui il condomino ha depositato la domanda di mediazione; pertanto se il diretto interessato deposita l’istanza nei giorni immediatamente precedenti la scadenza dei trenta giorni correrà il rischio di decadere dalla possibilità di impugnare la decisione dell’assemblea nel caso in cui l’organismo non dovesse procedere immediatamente alla spedizione della convocazione alle controparti. Per stare sicuri è quindi consigliabile che sia lo stesso condomino a farsi carico della comunicazione alle controparti della data dell’incontro, così da bloccare il decorso del termine dei trenta giorni.
Qualora la mediazione dovesse fallire il condomino che intende agire può liberamente procedere in tribunale attivandosi entro trenta giorni dalla data di deposito del verbale negativo di mediazione presso la segreteria dell’organismo; diversamente, trascorso detto termine, perderà la possibilità di fare valere i propri diritti.
In conclusione è importantissimo avere presente come la domanda di mediazione non sospenda ma interrompa solamente i termini per agire.
Le domande e le risposte più frequenti
Abbiamo scelto alcune fra le domande più frequenti relative alle valvole termostatiche:
Che cosa è una valvola termostatica?
Una valvola termostatica, è come un termostato ambiente in grado di variare automaticamente l’afflusso di acqua calda ai radiatori, in base alla reale necessità di calore nella stanza. Di fatto, mantiene costante in ogni locale la temperatura da te desiderata.
La valvola termostatica è l’elemento che esegue la termoregolazione e si installa sul termosifone. Mantiene costante la temperatura del locale regolando (aumentando o diminuendo) la quantità di acqua calda che passa nel radiatore in funzione della temperatura ambiente impostata con la manopola di regolazione.
È sufficiente ruotare la manopola per posizionarla sul numero desiderato.
Come si regola?
Sulla testa termostatica sono presenti dei numeri corrispondenti a determinati valori in °C.
Basta ruotare la testa per impostare il valore desiderato per ogni singola stanza.
(scala valori nel foglietto istruzioni).
Regolazione
0 | ❄ | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 |
5°C | ~ 7°C | ~ 12°C | ~ 16°C | ~ 20°C | ~ 24°C | ~ 28°C |
In caso di lunghi periodi di assenza durante il periodo invernale la testa termostatica può essere impostata sulla posizione antigelo ❄ corrispondente ad una temperatura ambiente non inferiore a ~7°C.
Durante il periodo estivo invece è consigliabile regolare la testa termostatica nella posizione 5, ovvero con valvola tutta aperta; è consigliabile aprire completamente la testa termostatica (temperatura massima) a fine stagione per evitare il deposito di particelle di sporco nella sede della valvola.
Una regolazione “fine” tramite le valvole termostatiche permette di adattare la temperatura ai bisogni effettivi del locale; così facendo potrete realizzare economie di combustibile non trascurabili (riducendo di 1°C la temperatura dell'appartamento, si ottiene una economia di combustibile dell'ordine del 6%).
Come funziona una valvola termostatica?
La valvola termostatica rileva le variazioni di temperatura ambiente e regola conseguentemente il flusso di acqua calda che arriva al radiatore, al fine di mantenere costante il clima in casa secondo il valore impostato sulla testa termostatica .
La valvola termostatica infatti riesce a sfruttare tutte le fonti gratuite di calore presenti nella stanza oltre al termosifone (ferro da stiro, fornelli, elettrodomestici vari, finestre soleggiate e, persino il calore emanato da corpi umani).
Ogni volta che c’è del calore in eccesso essa ne chiede meno all’impianto di riscaldamento, che entra in funzione solo come e quando serve. Si tagliano così sprechi di energia e costi.
Le valvole termostatiche reagiscono automaticamente alle variazioni della temperatura ambiente, aprendo o chiudendo l'afflusso d'acqua calda dai radiatori; quindi, a finestra aperta, l'afflusso d'acqua è massimo; assicuratevi, in tal caso, di chiudere le valvole.
Se il radiatore è metà caldo e metà freddo la testa termostatica sta lavorando correttamente?
SI se il radiatore in alcune parti sembra essere freddo (non è un segnale di malfunzionamento) vuol dire che la valvola termostatica sta lavorando bene facendo affluire la giusta quantità di acqua calda al termosifone.
Raggiunta la temperatura desiderata, nell’ambiente in cui è installato il calorifero, il flusso dell’acqua calda si interrompe automaticamente.
L’interruzione del flusso di acqua calda sarà tanto più lunga quanto più l’ambiente non sarà raffreddato da agenti esterni, come per esempio l’aria che entra dalle finestre tenute aperte per troppo tempo.
Il calorifero, raggiunta la temperatura , incomincerà a raffreddarsi nella parte inferiore e risulterà quindi più caldo nella parte superiore e meno caldo in quella inferiore.
Perché in alcuni casi non si raggiunge la temperatura ambiente scelta
e impostata sulla testa termostatica?
In alcune occasioni il radiatore si trova ad essere coperto da copriradiatori, pesanti tendaggi o semplicemente in posizioni non ottimali, è per questo che esistono regolatori termostatici che permettono di rilevare la temperatura in una posizione diversa da quella in cui si trova il radiatore ottenendo una corretta regolazione della temperatura nell’ambiente.
NO, pur essendo molto flessibile deve pur sempre rispondere alle leggi della fisica e dei fluidi e perciò deve essere montata in posizione orizzontale al fine di rilevare correttamente la temperatura.
Le valvole termostatiche sono rumorose?
NO, se installate correttamente sono apparecchi molto silenziosi visto che non contengono organi di movimento (tipo ingranaggi) che causano rumori.
Perché le valvole termostatiche a volte “fischiano”?
Questo fenomeno si genera quando la pressione differenziale aumenta oltre un valore limite.
Secondo il VDMA (Norme tecniche dell’Associazione Tedesca fra le Industrie Meccaniche per la progettazione ed il bilanciamento di impianti di riscaldamento con radiatori corredati di valvole termostatiche) questo limite è 0,2 bar.
Questo fenomeno è causato da una cattiva regolazione a monte dell’impianto.
Per ovviare a questo problema, dopo aver correttamente tarato l’impianto ed i singoli radiatori per mezzo di valvole di bilanciamento e detentori, si possono prevedere dispositivi autoregolanti che installato a monte di un gruppo di valvole (colonna montante di distribuzione) permette di tarare la pressione differenziale richiesta e mantenerla sempre uguale anche se la maggior parte delle valvole nell’impianto si sono chiuse.
Ma la testa termostatica ha bisogno di energia elettrica per funzionare?
NO è un meccanismo autonomo che non necessita di nessuna energia esterna per funzionare, basta montarla sulla valvola e lei comincia a lavorare.
Posso montare la testa termostatica sul ritorno del radiatore?
NO, a meno che non si disponga di una valvola a flusso contrario. Montando una normale valvola termostatica sul ritorno si rischia che la regolazione della temperatura non sia corretta perché il flusso dell’acqua potrebbe creare delle spinte indesiderate sull’otturatore portandolo alla chiusura quando non è necessario o rendendo rumorosa la valvola.
Le valvole termostatiche sono obbligatorie?
SI, La legge n. 10/91 ed il Dlgs N. 192/05 hanno reso obbligatoria l’installazione delle valvole termostatiche negli alloggi di nuova costruzione e nelle ristrutturazioni degli impianti termici, comprendendo il caso di trasformazione totale dell’impianto centralizzato in impianti autonomi.
Perché si sfiatano i radiatori?
L'acqua immessa nell'impianto al primo riempimento contiene una parte di ossigeno che, una volta a riposo all'interno del radiatore, si separa dall'acqua.
Dove c'è aria il radiatore non si riscalda, perciò si tratta di farla uscire manovrando la valvolina di sfiato, durante il funzionamento dell'impianto stesso.
Non sempre è possibile chiedere l’intervento delle forze dell’ordine quando i vicini sono rumorosi, anzi, sono più le volte in cui le autorità pubbliche non hanno poteri di intervenire rispetto a quelle in cui li hanno; infatti Carabinieri e Polizia possono intervenire solo nel caso in cui il comportamento del vicino molesto integri un’ipotesi di reato, il che comporta la necessità di capire quando il rumore provocato dal vicino sia tale da fare scattare il penale e quando, invece, rientri nell’orbita dell’illecito civile.
La Cassazione peraltro lo ha chiarito con la sentenza numero 25424 del 20-06-2016 stabilendo che per far scattare il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo siano necessari due presupposti:
- che il rumore superi la normale tollerabilità;
- che il rumore sia in grado di provocare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non solo ad una ristretta cerchia di famiglie.
L’elemento che viene a differenziare l’illecito amministrativo dall’illecito penale è costituito dalla “concreta idoneità della condotta rumorosa a porre in pericolo il bene della pubblica tranquillità”, pertanto scatterà l’illecito amministrativo quando saranno superati semplicemente i limiti numerici di intensità rumorosa, mentre scatterà l’illecito penale quando il frastuono andrà a superarli in maniera elevata o nel caso in cui si dovesse registrare la violazione delle prescrizioni legali che disciplinano i mestieri rumorosi.
Come comportarsi allora quando il vicino disturba? Se veramente si è stufi di subire il disturbo provocato dal vicino, salvo il caso in cui si rientri espressamente nell’ipotesi di reato penale, laddove pertanto sarà possibile richiedere l’intervento delle autorità pubbliche, non resta che rivolgersi ad un legale intimando al vicino di cessare nel disturbo e, se del caso come visto sopra, chiedendo anche il risarcimento del danno subito.
L’amministratore di condominio non interverrà, pertanto, in quei casi in cui un vicino si lamenta dell’altro in quanto dovrebbe basarsi unicamente su quanto segnalato dal singolo bensì, in presenza segnalazioni scritte provenienti da più condomini, provvederà a presentare un esposto alla pubblica autorità.
A fronte del brusco calo delle temperature ed in considerazione delle previsioni meteo per i prossimi giorni, Il Commissario Straordinario del Comune di Bolzano, Prefetto Michele Penta ha autorizzato la proroga dell'accensione degli impianti di riscaldamento domestico degli edifici siti sul territorio comunale sino al prossimo 3 maggio per un massimo di sette ore giornaliere . Tempi tecnici permettendo le ditte che hanno in gestione le centrali termiche stanno provvedendo alla riaccensione in tutti gli edifici dove gli impianti risultano carichi e pronti per l'utilizzo. In giornata è arrivata anche l'autorizzazione da parte del sindaco di Laives che concede proroga per sette ore al giorno fino al 10 maggio e da parte del sindaco di Merano fino al primo maggio. Da domani dovrebbe tornare il bel tempo....
Nel caso di balcone aggettante, ovvero che sporge vesto l’esterno, le spese per il rifacimento della ringhiera e della pavimentazione sono a carico del proprietario dell’unità immobiliare, che fruisce direttamente e in via esclusiva del balcone.
I costi per la tinteggiatura e il ritocco degli stucchi ornamentali, invece, così come tutte le altre parti comuni dell’edificio, vanno divisi fra tutti i condomini che ne traggono beneficio in termini puramente estetici.
A ribadire questi concetti è la recente sentenza della Cassazione nr. 10209/15 del 19-05-2015secondo cui i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, dei balconi costituiscono beni comuni a tutti i condomini quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole.
L’orientamento dei giudici, in merito alla natura dei balconi aggettanti, ovvero se facciano parte dei beni comuni dell’edificio, appartenendo pertanto a tutti i condomini, o se invece siano di proprietà esclusiva è che in linea generale il balcone aggettante sia di proprietà esclusiva del proprietario della corrispondente unità immobiliare in quanto prolungamento dell’appartamento da cui si protende verso l’esterno non avendo alcuna funzione di sostegno o di copertura dell’edificio come da Cassazione nr. 6624/2012 e Cassazione nr. 2241/2012.
E’ invece da considerarsi, come da sentenza di Cassazione nr. 6624/2012 e sentenza nr. 22421/2012, di proprietà comune la parte che riguarda i rivestimenti del parapetto e della soletta e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole, diventando così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata, mentre i comuni “vasconi” trapezoidali di calcestruzzo posati sul cordolo e non sporgenti non hanno un pregio artistico e non fanno parte del decoro architettonico dell’edificio come da sentenza di cassazione nr. 6624/2012.
Anche i giudici di merito di Bologna con sentenza del 20-05-2010 si sono espressi sulla questione, ribadendo come in materia condominiale si debbano considerare come parti comuni gli elementi esterni degli affacci e, nello specifico, dei balconi come, in particolare, i rivestimenti della parte frontale o della parte sottostante della soletta, i frontalini ed i pilastrini, se assolvono prevalentemente ad una funzione ornamentale dell’intero edificio e non soltanto al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti.
E così anche i giudici di merito di Roma con sentenza del 07-04-2009 hanno stabilito che devono ritenersi condominiali i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ineriscano ai balconi come i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini ed i pilastrini, se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti. In particolare, i frontalini e i pilastrini di un balcone adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio allorquando svolgono una funzione decorativa estesa ad esso, del quale accrescono il pregio architettonico, oltre ad assolvere una funzione estetica volta a rendere armonica la facciata dell’edificio condominiale.
Il sistema di ripartizione delle spese relativo alla soletta dei balconi segue le stesse regole dei solai, che peraltro appartengono in proprietà ai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastante e le cui spese sono sostenute da ciascuno di essi per metà come da sentenza di Cassazione del 21-01-2000.
Allo stesso modo si stabilisce chi debba sostenere le spese per i lavori al piano di calpestio, elemento senz’altro utilizzato dal legittimo proprietario del balcone, ma che allo stesso tempo funge da copertura per il condomino del piano inferiore, proprio per questa duplice funzione le spese di manutenzione o di rifacimento dello stesso devono essere ripartire tra i due soggetti.
Fonte: Laleggepertuti.it
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