12 Apr
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Innanzitutto quando si parla di uso della cosa comune in ambito condominiale è bene richiamare quanto disciplinato nelle disposizioni codicistiche agli articoli 1102 e seguenti del codice civile applicabili alla comunione in genere e ricordare anche come le parti comuni siano di proprietà di tutti i condomini così come sancito dall’articolo 1117 del codice civile.

Partendo da questi presupposti, pertanto, ogni condomino “può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”; naturalmente il tutto senza che il condomino estenda il suo diritto sulla cosa comune a danno degli altri partecipanti.

La norma, dunque, stabilisce il principio dell’uso paritario della cosa comune, che in materia condominiale prevede normalmente tre diverse soluzioni:

  1. l’uso simultaneo della cosa,
  2. l’uso turnario
  3. l’uso indiretto.

Infatti, se la natura del bene di proprietà comune non ne permette un godimento simultaneo, l’uso comune può realizzarsi o mediante l’avvicendamento oppure mediante l’uso indiretto, cedendolo per esempio in locazione, in seguito ad una delibera assembleare presa con la maggioranza legalmente prescritta.

A questo proposito, la Suprema Corte ha stabilito che i condomini possono deliberare l’uso indiretto della cosa comun, con la maggioranza legalmente prescritta, quando non sia possibile l’uso diretto per tutti i partecipanti al condominio proporzionalmente alla loro quota [Cassazione sentenza nr. 15460/2002].

L’uso indiretto della cosa comune è quindi consentito, ma solo come ultima soluzione e, comunque, a fronte di una delibera assembleare presa dalla maggioranza dai condomini.

L’assemblea condominiale può dunque scegliere diverse soluzioni:

– può assegnare i posti auto in via esclusiva, a seguito di delibera unanime di tutti i condomini;

– predisporre un sistema a rotazione dei posti auto per evitare la violazione del principio del godimento paritario;

– in alternativa, propendere per l’uso indiretto della cosa comune, assegnando i posti auto in locazione agli stessi condomini [Cassazione sentenza nr. 4131/2001.].

La Suprema Corte inoltre ha stabilito che il condomino che lascia parcheggiata l’auto per lunghi periodi nel cortile condominiale manifesta la volontà di possedere il bene in maniera esclusiva, impedendo il pari utilizzo da parte degli altri condomini e, quindi, occupando stabilmente uno spazio comune oltrepassa i limiti previsti dalla legge sull’utilizzo degli spazi comuni compiendo, di fatto, un abuso [Cassazione sentenza, nr. 3640/04].

Nel caso in cui l’assemblea deliberi che il parcheggio nei posti auto condominiali sia consentito soltanto ai condomini residenti, il condominio ha esercitato un diritto consentito dalla legge, ovvero quello di scegliere le modalità di godimento della cosa comune ed anche le eventuali limitazioni; per stabilirlo è sufficiente il consenso della sola maggioranza, non essendo in questo caso prevista la regola dell’unanimità della delibera.

A fronte di quanto sopra esposto è quindi anche possibile affermare che il singolo condomino, il quale abbia ricevuto la possibilità di godere per un certo periodo di un posto auto condominiale, non può decidere arbitrariamente di affittarlo a terzi salvo che non vi sia a monte una decisione collegiale, presa dall’assemblea a maggioranza, che stabilisca l’uso indiretto della cosa comune, per esempio consentendone la locazione a soggetti esterni oppure una delibera unanime di assegnazione esclusiva dei posti auto ai singoli che potrebbero, pertanto, in questo caso cederne legittimamente a terzi il godimento.

05 Mar
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Per mantenere efficienti e come nuove le tende da sole il più a lungo possibile basta poco, infatti con una manutenzione ordinaria e poche attenzioni corrette è possibile garantire il loro funzionamento e la loro durata nel tempo.

Di seguito alcuni consigli:

  1. Vento, pioggia e neve sono i principali nemici da cui guardarsi, pertanto quando si vede che il tempo peggiora è ben chiudere le tende da sole prima che si bagnino o che il vento possa strapparle con il pericolo di danneggiare anche persone e cose.
  1. Verificare sempre che il telo sia sempre ben teso, in questo modo quando la tenda si apre e si chiude non compia movimenti anomali che alla lunga possono portare a disassamenti del rullo.
  1. Con l’arrivo delle stagioni più calde aumenta la frequenza di utilizzo delle tende ed è quindi il momento migliore per procedere ad eseguire un controllo ed una manutenzione approfondita verificando con attenzione che i bracci ed il rullo siano in buone condizioni e si muovano liberamente senza impedimenti o cigolii e che la tenda sia ben tesa e che scorra senza impedimenti nelle proprie guide.
  1. Per un corretto funzionamento di tutte le parti mobili è bene ingrassare con regolarità tutte le parti meccaniche come snodi, bracci e argani.
  1. Per evitare che si crei la muffa sui teli occorre vitare di riavvolgerle quando sono bagnate, pertanto se non si dovesse fare n tempo prima che i bagnino occorre riaprirle appena possibile così che possano asciugarsi completamente.
  1. La tenda da sole deve essere pulita rimuovendo la presenza di eventuali detriti e fogliame che si fossero depositati sul telo e sulle parti mobili.
  1. Anche tutte le parti metalliche che compongono la tenda da sole, che vanno dal rullo avvolgitore sia esso manuale o motorizzato, fino alle guide di passaggio della tenda hanno bisogno di una costante manutenzione ordinaria.
  2. Esse devono infatti essere pulite periodicamente per mantenere questo meccanismo, fondamentale per il funzionamento della tenda o pergola, e devono essere tenuti in perfetta efficienza.

Queste procedure, come detto, andrebbero ripetute con periodicità, ancor di più se la tenda è esposta continuamente a smog o detriti, e come regola andrebbe eseguita con meticolosità al termine della stagione estiva così da richiuderla pulita ed asciutta così da evitare che con la stagione fredda ed umida si forino sul telo marciume e muffe.

10 Gen
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L’esigenza dell’espletamento dei bisogni fisiologici dei cani d’affezione e quello dei proprietari dei beni che ne vengono imbrattati vengono a scontrarsi, ancor quando ci si trova all’interno di un condominio.

L’utilizzo delle parti comuni del condominio dovrebbe sempre avvenire nel rispetto della legge e dovrebbe prevalere sempre ed in ogni caso il rispetto altrui ma se questo non avviene, come purtroppo spesso accade, come ci si può tutelare?

Dal punto di vista giuridico generalmente si fa riferimento all’ordinamento comunale ed al codice della strada; il primo, ovviamente, si limita a regolamentare la materia facendo riferimento alle aree pubbliche o ad uso pubblico mentre il secondo all’articolo 15, comma 1 lettera F vieta e sanziona l'imbrattamento della stessa e delle sue pertinenze.

Quando ci si trova sulla proprietà condominiale queste norme ovviamente non trovano applicazione, avendo valenza solo per le parti pubbliche o aperte al pubblico, anche se, talvolta, i giudici le prendono in considerazione anche per le aree private con il fine di valutare i comportamenti oggetto del loro esame ed il regolamento di condominio, come è facilmente comprensibile, è valido ed opponibile solo nei confronti dei condomini o dei loro ospiti per i quali risultano essere responsabili.

Nel caso che i proprietari che permettono ai propri cani di lordare le parti comuni siano dei condomini l’amministratore può inviare delle circolari di richiamo generico a tutti così come, qualora identificati chiaramente, richiamarli a mezzo lettera raccomandata

Va detto peraltro che in questo caso è indispensabile che vi sia la certezza dell’identificazione e la possibilità di dimostrare inconfutabilmente la responsabilità del condomino; quindi l’amministratore non potrà certo basarsi su una semplice segnalazione ricevuta da parte di un altro condomino che, come molto spesso accade, vuole anche restare anonimo.

Una volta richiamato ufficialmente, qualora il proprietario del cane dovesse persistere nel proprio comportamento incivile è possibile fare ricorso al codice penale che prevede il reato di imbrattamento di cose altrui all’articolo 639 intitolato: Deturpamento e imbrattamento di cose altrui.

Detto articolo recita testualmente: ”Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 103,00 Euro.

Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300,00 a 1.000,00 Euro.

Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000,00 a 3.000,00 Euro. Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000,00 Euro. Nei casi previsti dal secondo comma si procede d'ufficio”.

C’è poi anche l’articolo 635 del codice penale che riguarda il reato più grave di danneggiamento, che compie “chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili”

Recentemente si è espressa in materia anche la Corte di Cassazione con sentenza nr. 7082 del 2015 con la quale ha stabilito che il comportamento di cui sopra rientra nella fattispecie di imbrattamento, definito come “un'azione che consiste nell'insudiciamento, prodotto con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi modo idoneo, della cosa altrui - essendo irrilevante che l'alterazione sia temporanea o superficiale e che la res possa essere facilmente reintegrabile nel suo aspetto originario anche con modesta spesa”.

Occorre quindi verificare la presenza del dolo, cioè l'elemento soggettivo così che tale comportamento possa rientrare nella fattispecie appena descritta piuttosto che nella colpa; infatti in questo secondo caso non vi sarebbe il reato di deturpamento e di imbrattamento e questo in quanto se la legge non specifica diversamente, i delitti sono punibili solo per dolo::

Da segnalare come il reato ex articolo 639 del codice penale sia considerato delitto.

Ovviamente la presenza della volontà deve essere verificata caso per caso, pertanto nella sentenza di cui sopra la Suprema Corte ha escluso l'illecito in quanto il proprietario del cane, pur colpevole di malgoverno dell'animale, si era però subito affrettato a versare dell'acqua dalla bottiglietta che aveva con sè.

La Corte nelle proprie conclusioni afferma che “la possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare beni di proprietà di terzi è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile, non essendo ipotizzabile che l'animale sia costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici all'interno di luoghi di privata dimora (o comunque di ambienti chiusi) privi di pertinenze esterne (cortili, giardini, ecc.). Da quanto sopra quindi deriva che si può richiedere, a chi conduce un cane sulla pubblica via, solo un corretto governo di tale inevitabile rischio, ad esempio attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sui comportamenti dell'animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento utilizzando un guinzaglio, come peraltro previsto dalle norme vigenti, o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere, quantomeno nell'immediatezza, dall'azione”.

Difficile quindi, come si può ben capire dalla lettura di quanto sopra esposto, mettere in atto azioni efficaci nei confronti di quei condomini che lasciano che il proprio cane lordi le parti comuni; ancor più, direi quasi impossibile, nei confronti di chi non è neanche condomino e la cui identificazione, ovviamente, risulta pressocchè impossibile.

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