Nel caso di balcone aggettante, ovvero che sporge vesto l’esterno, le spese per il rifacimento della ringhiera e della pavimentazione sono a carico del proprietario dell’unità immobiliare, che fruisce direttamente e in via esclusiva del balcone.
I costi per la tinteggiatura e il ritocco degli stucchi ornamentali, invece, così come tutte le altre parti comuni dell’edificio, vanno divisi fra tutti i condomini che ne traggono beneficio in termini puramente estetici.
A ribadire questi concetti è la recente sentenza della Cassazione nr. 10209/15 del 19-05-2015secondo cui i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, dei balconi costituiscono beni comuni a tutti i condomini quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole.
L’orientamento dei giudici, in merito alla natura dei balconi aggettanti, ovvero se facciano parte dei beni comuni dell’edificio, appartenendo pertanto a tutti i condomini, o se invece siano di proprietà esclusiva è che in linea generale il balcone aggettante sia di proprietà esclusiva del proprietario della corrispondente unità immobiliare in quanto prolungamento dell’appartamento da cui si protende verso l’esterno non avendo alcuna funzione di sostegno o di copertura dell’edificio come da Cassazione nr. 6624/2012 e Cassazione nr. 2241/2012.
E’ invece da considerarsi, come da sentenza di Cassazione nr. 6624/2012 e sentenza nr. 22421/2012, di proprietà comune la parte che riguarda i rivestimenti del parapetto e della soletta e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole, diventando così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata, mentre i comuni “vasconi” trapezoidali di calcestruzzo posati sul cordolo e non sporgenti non hanno un pregio artistico e non fanno parte del decoro architettonico dell’edificio come da sentenza di cassazione nr. 6624/2012.
Anche i giudici di merito di Bologna con sentenza del 20-05-2010 si sono espressi sulla questione, ribadendo come in materia condominiale si debbano considerare come parti comuni gli elementi esterni degli affacci e, nello specifico, dei balconi come, in particolare, i rivestimenti della parte frontale o della parte sottostante della soletta, i frontalini ed i pilastrini, se assolvono prevalentemente ad una funzione ornamentale dell’intero edificio e non soltanto al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti.
E così anche i giudici di merito di Roma con sentenza del 07-04-2009 hanno stabilito che devono ritenersi condominiali i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ineriscano ai balconi come i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini ed i pilastrini, se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti. In particolare, i frontalini e i pilastrini di un balcone adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio allorquando svolgono una funzione decorativa estesa ad esso, del quale accrescono il pregio architettonico, oltre ad assolvere una funzione estetica volta a rendere armonica la facciata dell’edificio condominiale.
Il sistema di ripartizione delle spese relativo alla soletta dei balconi segue le stesse regole dei solai, che peraltro appartengono in proprietà ai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastante e le cui spese sono sostenute da ciascuno di essi per metà come da sentenza di Cassazione del 21-01-2000.
Allo stesso modo si stabilisce chi debba sostenere le spese per i lavori al piano di calpestio, elemento senz’altro utilizzato dal legittimo proprietario del balcone, ma che allo stesso tempo funge da copertura per il condomino del piano inferiore, proprio per questa duplice funzione le spese di manutenzione o di rifacimento dello stesso devono essere ripartire tra i due soggetti.
Fonte: Laleggepertuti.it
Innanzitutto, come sempre, occorre valutare il genere e l’entità dei lavori che sono in corso nella proprietà individuale e, soprattutto, valutare eventuali obblighi o divieti presenti nel regolamento di condominio del fabbricato.
In generale l’articolo 1122 del codice civile dispone che, nell’immobile di sua proprietà, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni o pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
In ogni caso il codice civile prevede che il proprietario debba darne preventiva notizia all’amministratore che ne deve riferire all’assemblea.
Pertanto ogni proprietario è libero di realizzare, sulla sua proprietà, lavori per migliorarne la fruibilità o per personalizzarla dal punto di vista estetico e funzionale, ma questo non deve creare pregiudizio alle parti comuni e al loro utilizzo, né può arrecare danni alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’intero edificio, intendendosi con quest’ultima espressione l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante del fabbricato.
L’amministratore è pertanto tenuto a verificare che i lavori condotti all’interno delle singole unità abitative non arrechino danni alle parti comuni e che non vadano a pregiudicare la stabilità e la sicurezza dell’intero edificio, nonché il suo decoro architettonico.
Purtroppo però la legge non indica il metodo che l’amministratore deve seguire per svolgere questo genere di accertamento che, pertanto, viene lasciato alla sua discrezione ed alle sue competenze specifiche. Non si può comunque escludere, in linea di massima, che ciò avvenga attraverso l’accesso direttamente sul luogo dei lavori.
In sintesi, qualora l’amministratore di condominio dovesse bussare alla porta dell’appartamento per controllare i lavori in corso di esecuzione nello stesso, è diritto del proprietario non aprire in quanto ogni proprietario è libero di eseguire nel proprio immobile gli interventi che più gli aggradano; tuttavia questo diritto del proprietario sarebbe tutelabile solo in prima battuta in quanto il condominio potrebbe agire in Tribunale e chiedere un ordine di accesso per verificare che i suddetti lavori non arrechino danno alle parti comuni o non mettano a repentaglio la stabilità, la sicurezza e il decoro dell’intero edificio.
E’ quindi sempre consigliabile concordare con l’amministratore una data di accesso, facendosi anche assistere da un proprio tecnico di fiducia in modo da poter eventualmente contestare le risultanze di quanto verrà accertato, ed eventualmente contestato, in tale occasione.
La legge, infine, utilizza una formula generica per quanto riguarda il preventivo avviso che il condomino deve dare all’amministratore all’inizio dei lavori; pertanto, se il regolamento di condominio non dispone diversamente, il singolo condomino che inizia i lavori è tenuto solo ad inviare una semplice comunicazione all’amministrazione relativa all’avvio degli stessi non essendo obbligato ad esibire eventuali permessi edilizi che, al massimo, devono essere mostrati solo al Comune o agli altri organi della pubblica amministrazione.
Concludendo quindi, in caso di esecuzione dei lavori all’interno di un appartamento, l’amministratore di condominio può chiedere ed ottenere il permesso di accedere all’interno della proprietà privata del singolo condomino per verificarne lo svolgimento ed il proprietario è tenuto ad acconsentirne l’accesso, mentre non è tenuto a presentare al condominio copia del rilascio del permesso del Comune e del progetto esecutivo dei lavori.
Fonte: Laleggepertutti.it
Assemblea di condominio, nullità ed annullabilità, casi pratici, termini per impugnare, forma dell’atto di impugnazione, competenza del giudice, sospensione della delibera impugnata.
Regole generali
Una volta assunte, le delibere dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini anche per i condomini assenti o dissenzienti, tranne il caso in cui la delibera venga impugnata nei termini previsti e tali delibere sono anche obbligatorie per lo stesso amministratore che deve eseguirle senza possibilità di sindacare in merito.
I condomini che durante l’assemblea hanno espresso voto contrario, o cosiddetti dissenzienti, o i condomini assenti possono impugnare la delibera assembleare qualora la stessa sia contraria ai loro interessi, ma solo se essa violi la legge oppure il regolamento di condominio.
Il ricorso va proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni che decorrono dalla data della deliberazione per i condomini dissenzienti e dalla data di comunicazione del verbale di assemblea per i condomini assenti. Ecco perché è sempre bene, per poter accertare il rispetto di tale termine, che l’amministratore possa dimostrare la data precisa di spedizione e di ricevimento, cosa che avviene di norma con la raccomandata a/r o con la consegna a mani controfirmata.
E’ bene tenere presente come l’impugnazione non sospenda automaticamente l’esecuzione della delibera, ma sia necessario un provvedimento apposito da parte del giudice.
Quando si può impugnare la delibera: nullità e annullabilità
La legge non dice altro se non che le delibere impugnabili sono solo quelle contrarie alla legge o al regolamento di condominio e la giurisprudenza ha successivamente integrato operando la distinzione tra delibere nulle e delibere annullabili.
La nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione nr. 4806/2005 ha chiarito la distinzione tra queste due categorie:
Le delibere nullesono quelle relative ai vizi più gravi, ovvero quelle prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito, con oggetto eccedente la competenza assembleare, che incidono sui diritti individuali sulle cose o sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini e comunque invalide in relazione all’oggetto. Sono nulle le delibere con oggetto che non rientri nella competenza dell’assemblea; le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini; quelle con cui a maggioranza sono stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dal codice civile o dal regolamento di condominio contrattuale, essendo necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini; la delibera dell’assemblea di condominio che ratifichi una spesa che risulti essere assolutamente priva di qualsiasi attinenza con la gestione condominiale; la delibera condominiale che determini un illecito edilizio; la delibera che respinga la richiesta di autorizzazione al distacco dall’impianto condominiale avanzata dal condomino; la delibera dell’assemblea dei condomini che disponga una innovazione in violazione delle norme imperative o pregiudichi la sicurezza del fabbricato; la delibera che, senza il consenso di tutti i condomini, modifichi i criteri legali o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune; la delibera dell’assemblea che ponga le spese di lite, in proporzione della sua quota, a carico del condomino che abbia manifestato nei termini e nelle modalità previste il proprio dissenso rispetto alla lite medesima deliberata dall’assemblea.
Le delibere annullabilisono quelle con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, adottate con maggioranze inferiori rispetto a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento di condominio; affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea; affette da irregolarità nel procedimento di convocazione; lesive di norme che richiedono maggioranze qualificate in relazione al particolare oggetto; le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale; adottate con una maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale; quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea; quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione; quelle che violano norme che richiedono delle maggioranze qualificate in relazione all’oggetto; quelle relative alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni come posti auto e vano ascensore ed alla tassa di occupazione di suolo pubblico; quelle che contengono omissioni relative alla individuazione dei singoli condomini assenzienti, dissenzienti, assenti o al valore delle rispettive quote; la violazione del diritto del singolo condomino di esaminare a sua richiesta, secondo adeguate modalità di tempo e di luogo, la documentazione attinente agli argomenti posti all’ordine del giorno di una successiva assemblea condominiale; la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale ad un condomino.
Anche l’eventuale incompletezza dell’ordine del giorno contenuto nell’atto di convocazione dell’assemblea può determinare non tanto la nullità assoluta, quanto l’annullabilità della delibera.
Gli effetti pratici della distinzione tra delibere nulle e annullabili
Sul piano pratico, in merito a diversi aspetti dell’impugnazione, esistono notevoli differenze tra delibere annullabili e delibere nulle:
Innanzitutto in caso di annullabilità, la delibera dell’assemblea può essere impugnata nel termine di trenta giorni che decorre, per i condomini assenti dal ricevimento del verbale, e per i condomini dissenzienti dalla sua approvazione; scaduto il suddetto termine la delibera, anche se viziata, diventa valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.
In caso di nullità della delibera, invece, l’invalidità può essere fatta valere senza limiti di tempo e da chiunque, compreso il condomino che abbia partecipato all’assemblea esprimendo il voto conforme alla deliberazione stessa, ad eccezione dell’ipotesi nella quale “il voto si risolva in un atto negoziale implicante assunzione e riconoscimento di una propria personale obbligazione” ed a condizione, che lo stesso dimostri di avervi interesse e, quindi, provi che dalla delibera dell’assemblea gli possa derivare un apprezzabile pregiudizio.
Forma dell’impugnazione
Dopo un iniziale contrasto intervenuto tra i giudici, le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito come le impugnazioni delle delibere dell’assemblea di condominio debbano essere proposte con citazione e non con ricorso.
Competenza: tribunale o giudice di pace?
Per stabilire se la causa vada proposta davanti al giudice di pace o al tribunale il criterio da adottare generalmente è il valore desumibile dalla delibera assembleare, a meno che l’oggetto della delibera non rientri nella competenza per materia di un determinato giudice come, ad esempio, nel caso in cui la delibera riguardi la misura e le modalità di utilizzo dei servizi di condominio la cui competenza è sempre del Giudice di Pace.
Ai fini della determinazione del valore della causa il valore della stessa deve essere determinato in base alla parte della delibera impugnata e non alla quota di spettanza del condomino che la impugna.
Sospensione della delibera impugnata
La proposizione del ricorso non sospende automaticamente l’esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione venga ordinata con apposito provvedimento da parte del giudice preposto.
Le sentenze:
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 16 novembre 1992, n. 12281
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 28 agosto 1993, n. 9130
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 26 aprile 1994, n. 3946
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 6 aprile 1995, n. 4009
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 19 febbraio 1997, n. 1511
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 9 dicembre 1988, n. 6671
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 9 gennaio 1999, n. 129
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 22 maggio 1999, n. 5014
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 14 dicembre 1999, n. 14037
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 22 dicembre 1999, n. 14461
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 5 gennaio 2000, n. 31
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 2 ottobre 2000, n. 13013
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 5 febbraio 2000, n. 1292
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 20 aprile 2001, n. 5889
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 28 novembre 2001, n. 15131
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 18 aprile 2002, n. 5626
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 11 settembre 2003, n. 13350
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 9 gennaio 2004, n. 143
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 24 maggio 2004, n. 9981
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 7 marzo 2005, n. 4806
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 20 aprile 2005, n. 8216
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 9 dicembre 2005, n. 27292
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 30 marzo 2006, n. 7518
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 21 luglio 2006, n. 16793
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 1 agosto 2006, n. 17486
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 29 marzo 2007, n. 7708
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 13 luglio 2007, n. 15749
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 27 luglio 2007, n. 16641
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 10 ottobre 2007, n. 21298
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 14 dicembre 2007, n. 26468
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 11 maggio 2009, n. 10816
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 31 maggio 2010, n. 13235
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 28 dicembre 2011, n. 29386
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 24 luglio 2012, n. 12930
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